Mestre, M9 e il Museo del ‘900: quando il Novecento è riduttivo!
di Giorgio Uberti
Da un paio di mesi Mestre non è più solo la porta d’accesso alla Regina dell’Adriatico. Visitare e conoscere il distretto M9 è un valido motivo per fermarsi e scoprire questa storica località dell’entroterra veneziano. A gennaio, il consiglio direttivo dell’Associazione Italiana di Public History ha incontrato il direttore Marco Biscione e il nostro socio Giorgio Uberti, membro di quel direttivo, ha avuto l’occasione di visitare M9 accompagnato dai curatori del Museo del ‘900, Michelangela di Giacomo e Livio Karrer. In questo articolo, senza pretesa di esaustività, si riportano alcune chiavi di lettura pensate per chi desidera approcciarsi all’opera urbana.
Prima di tutto M9 è una smart city, ovvero un distretto multifunzionale di nuova concezione, al cui interno è inserito il Museo del ‘900. Si tratta, in estrema sintesi, di un innovativo progetto di rigenerazione urbana della Fondazione di Venezia e realizzato da Polymnia Venezia. Un progetto da 110 milioni di euro che ha trasformato profondamente una superficie di novemila metri quadrati situata nel centro storico di Mestre. L’intervento ha interessato sette corpi di fabbrica, quattro antecedenti e tre di nuova edificazione. Uno di questi ospita appunto il Museo del ‘900. Anche parlare genericamente di Museo del ‘900 rischia però di generare incomprensioni ed è quindi necessario dettagliare ulteriormente.
Lo spazio museale, suddiviso su quattro livelli, comprende a sua volta più sezioni. Al suo interno troviamo infatti un auditorium, una sala eventi con funzioni didattiche, un bookshop, un punto ristoro, biglietteria, guardaroba e servizi. L’edificio è perfettamente intergrato nel contesto urbano riprendendo la tradizione architettonica locale con mattonelle sulle tonalità del rosso veneziano. I passaggi interni sono caratterizzati da un’architettura in cemento a vista e una scalinata che, attraversando l’edificio, collega tra loro le sezioni chiave di quest’opera. Tra il primo e il secondo piano si estende la mostra permanente e al terzo piano è stato collocato lo spazio riservato alle mostre temporanee.
La mostra permanente è certamente il cuore del Museo del ‘900, ma la mostra non esaurisce la sua offerta. Affrontare il dibattito museologico e museografico in questo articolo ci porterebbe fuori strada e quindi si rimanda questo tipo di lettura ad altri contributi, in grado di esplicitare in dettaglio sia gli studi che ne hanno accompagnato la realizzazione, sia le indubbie criticità emerse. La prima impressione può portare a farci pensare che l’offerta museale coincida con la sola mostra permanente. Un museo è però un luogo più complesso e tra i suoi elementi devono essere comprese anche le sue iniziative, interne ed esterne, le sue rassegne, i suoi studi, le sue relazioni con i cittadini e le istituzioni della comunità locale e nazionale. Per valutare l’opera nella sua complessità sarà quindi necessario attendere che questo abbia compiuto almeno il primo anno di vita.
La mostra, tra l’altro, non nasce per ospitare, valorizzare e far conoscere una specifica collezione. Lungo il percorso non incontrerete manufatti che racchiudono in qualche modo il senso del Novecento. Solo nella sezione 3.3, intitolata proprio “oggetti e progetti”, troverete esposti alcuni utensili d’antiquariato recuperati appositamente per l’allestimento. Questo elemento ha giocato un ruolo decisivo nella costruzione del percorso stesso.
Last but non least, la mostra permanente non ha un vero e proprio titolo. Sembra banale dirlo ma è molto importante distinguere il contenitore dal contenuto. Le sezioni della mostra nella sua complessità non hanno l’obiettivo di esaurire le problematiche del Novecento, quello compete al museo nella sua interezza. La mostra permanente ha scelto “solo” di raccontare, attualizzandoli, i cambiamenti della società italiana attraverso il Novecento. Infatti non verrete accolti dallo scandalo della Banca Romana, dalla disfatta coloniale in Abissinia o dai moti del 1898. Non verrete condotti attraverso i due grandi conflitti globali, l’ascesa e la caduta del fascismo, la ricostruzione e il Sessantotto. La vostra visita non terminerà con tangentopoli, con le ultime stragi mafiose o con l’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica. Il percorso non è cronologico ma tematico e il focus non sono i tempi della storia ma i molteplici aspetti della società italiana. Certo, incontrerete la grande storia, ma sempre attraverso il filtro sociale. La mostra è articolata in otto sezioni e, in estrema sintesi, queste hanno come protagonista la demografia, i costumi, le tecnologie, l’economia, i paesaggi, le istituzioni, l’educazione e l’identità nazionale.
Quanto detto in premessa vi sarà chiaro subito dopo essere entrati nella prima sezione dedicata alla demografia e alle strutture sociali, intitolata: “come eravamo, come siamo”. L’impressione è quella di essere stati accolti dalla sola proiezione circolare di fotografie di italiani in tre momenti della storia nazionale. In realtà siete già circondati dai tre elementi narrativi che caratterizzano tutta la mostra. Un livello emozionale, capace di stupire potenziando gli aspetti evocativi; uno narrativo, che valorizza in modo interattivo la storia nel suo divenire e infine uno informativo, per chi desidera approfondire i temi trattati. Ognuno di questi elementi trova sempre un posto specifico lungo il percorso espositivo. È poi affidata al visitatore la capacità di non fermarsi solo sul lato emozionale o su quello narrativo di più immediata fruizione.
La visita non ha un ordine predefinito. Ogni visitatore, in base ai propri interessi e alle proprie curiosità è libero di scegliere il percorso che preferisce. È sufficiente tenere presente che, grosso modo, le quattro sezioni allestite al primo piano afferiscono alla sfera privata e le quattro sezioni del secondo piano a quella pubblica. La personalizzazione della visita alla mostra è certamente uno degli aspetti più affascinanti. Aiutati anche dall’applicazione, liberamente scaricabile sul proprio smartphone, e inserendo alcuni dati come il tempo a disposizione e i propri interessi, ci verrà suggerita una visita personalizzata. Sarà poi l’applicazione stessa a fornirci gli approfondimenti sugli elementi desiderati.
Se proprio dobbiamo segnalare una criticità, questa può essere la scelta di rendere multimediale, a ogni costo, tutte le sezioni. L’interattività, che gioca certamente un ruolo spettacolare della narrazione, tolti i benefici legati all’apprendimento, ha purtroppo forse più svantaggi. Innanzitutto è facilmente ipotizzabile che il costo di manutenzione delle postazioni andrà a incidere in maniera considerevole sui costi di gestione. Inoltre i diversi livelli tecnologici non sono adatti a tutti i tipi di pubblico. I più anziani, ad esempio, avranno una difficoltà maggiore a interagire con gli strumenti tipici dei più innovativi progetti museali d’Europa. Inoltre il continuo cambio di piattaforma rende l’adattamento al software un’operazione non immediata anche per un pubblico più vasto. Per ovviare a questi problemi lo spazio della mostra è disseminato di assistenti pronti a venire incontro a qualsiasi esigenza del visitatore.
Al termine della visita resta solo un quesito di fondo che però non riguarda la bontà del progetto. Perché limitarsi al Novecento? Tutta l’operazione è giocata sul numero nove però la lettura della mostra permanente restituisce uno scenario molto più profondo. Innanzitutto i riferimenti, anche solo statistici, all’Unità d’Italia sono molteplici eppure in tutto il percorso si è voluto, sembra un po’ forzatamente, dare sempre un confronto iniziale al 1901.
Inoltre visitando la mostra si comprende la preoccupazione degli stessi curatori di attualizzare tutte le sezioni con il tempo presente. Questa missione, imprescindibile per lo storico, fa si che il vero protagonista siano i cambiamenti della società italiana anche in un pezzo del Ventunesimo secolo. Una definizione temporale che dovrà essere costantemente aggiornata, ma questo è già previsto nel catalogo ufficiale. Quello che manca allora è forse un titolo alla mostra permanente, un titolo che, ripreso dal grande d’Azeglio, potrebbe essere “Fatta l’Italia, come si sono fatti gli italiani?”.