Per le strade di Alicante

Il castello di Santa Barbara visto dalla spiaggia

di Silvia Lotti

A volte, piombare in un posto senza averne coscienza fa decisamente bene, soprattutto perché così si ha la possibilità di lasciarsi sorprendere.
Arrivo ad Alicante in piena crisi di sonno, dopo una notte in aeroporto, due aerei in ritardo e quattro ore di scalo a Barcellona perché voglio sempre incastrare tante cose insieme, finendo per rimetterci delle energie pur di fare tutto.

By the way, come già detto, sono arrivata senza sapere nulla su questa città, dopo aver deciso di lasciare a casa la Lonely Planet – consultata più per dovere che per convinzione, guida che dedicava sì e no tre pagine a questa città, dando quindi per scontato di arrivare in un buco di posto.
Scopro invece una bella città, grande, turistica, piena di vita e rumori, trafficata, tutta proiettata verso il mare nostrum grazie alla collina su cui è costruita. Ma qualcosa non torna: in certi momenti sembra di essere a Marsiglia o a Napoli, soprattutto nella parte di città vecchia, con i vicoli che si arrampicano verso il Castello di Santa Barbara; in altri momenti, invece, sembra di essere in un posto senza storia. Colpisce tantissimo come lungo l’esplanadas, il viale del lungomare, ci siano solo brutti palazzoni degli anni ’60-’70, quando ci si aspetterebbero dei bei palazzi in stile liberty.

Ma come in tutte le cose, bisogna avere pazienza, spogliarsi della frenesia e farsi accompagnare dagli eventi, dagli incontri e dalla lentezza iberica, perché alla fine tutti i pezzi finiscono al loro posto. E questo modo mi ha accompagnato per un’intera settimana. Alicante è una città dalla lunga e variegata storia, ma gli eventi è come se ne avessero cancellato i segni, rimanendo però conscia del proprio passato, custodendolo gelosamente.
Andando a cercare su internet, parlando con una guida del FreeWalkingTour e visitando il MARQ (Museo Archeologico di Alicante), emerge la storia di una “qualsiasi” città del Mediterraneo: fondata nel periodo neolitico, vede passare diverse civiltà, da quella iberica a quella romana, passando per quella fenicia/cartaginese e greca grazie ai commerci, fino all’arrivo dei mori (718-1248) e la successiva reconquista da parte della corona di Castiglia, per poi essere presa poco dopo da quella aragonese.
Fino a qui, tutto bene. La città ha sempre rappresentato un punto strategico militare e commerciale, per cui è stato un centro economico fiorente, con le sue anime araba e cattolica, nonostante la seconda abbia volutamente fatto scomparire la prima. Poi sono cominciati i problemi, che ne hanno sconvolto la geografia urbana: prima la guerra di Secessione (1701-1713/15) che ha portato la corona spagnola dagli Asburgo ai Borbone, poi il passaggio delle truppe napoleoniche, hanno distrutto buone parte del centro storico.

Ma non è finita qui, perché ci pensa il Novecento a tirarmi per i capelli dentro di sé, riportandomi fino alla Guerra Civile di Spagna, che ha visto in Alicante una delle sue maggiori roccaforti repubblicane – la ciudad roja-, vedendo la maggior parte della popolazione concorde nel sostenere questa causa: per questo in città non ci sono stati scontri diretti tra il fronte repubblicano e l’esercito franchista. Alicante ha pagato un prezzo altissimo per questo suo essere partigiana, poiché il nemico, sì, è arrivato, esclusivamente dall’alto: la città ha subito il maggior numero di bombardamenti aerei negli anni che vanno dal 1936 al 1939, ben 71, registrando un alto numero di morti civili (481), oltre che la cancellazione di buona parte degli edifici più vicini alla costa. Il momento peggiore è stata la “trappola” del 25 maggio 1938, quando novanta bombe caddero sul Mercado Central, uccidendo 313 persone, per la maggior parte donne e bambini andati lì in cerca di cibo.

La storia e la memoria di tutto questo non è scomparsa, per cui non ci saranno pietre d’inciampo sui marciapiedi, ma segni di memoria ci sono eccome, su cui mi sono imbattuta per caso. Poi ho cominciato a cercare, facendomi scoprire una Ciudad de la memoria, come lei stessa si definisce.

Il luogo più intriso di memoria è il monumento al Mercado Central, in ricordo del bombardamento del 25 maggio 1938, di cui ho scritto sopra. Nessun segno è stato posto a caso: 9 quadrati come i 9 aerei italiani che sorvolavano la città, 90 linee come le 90 bombe che caddero sul mercato, 313 punti come le 313 persone che quel giorno persero la vita.

Monumento ad Archibald Dickson, capitano della nave Stanbrook, l’ultima imbarcazione che arrivò nel porto di Alicante per caricare a bordo più di duemila esuli repubblicani. Era la fine del marzo 1939, pochi giorni dopo, la Divisione Littoria (italiana, of course) prese la città. Erano alcuni giorni che, nel porto, si accalcavano quindicimila persone con la speranza di essere portate in salvo.

Coloro che non trovarono posto sulle navi, vennero rinchiusi in un campo di concentramento vicino alla città o nella prigione nel castello di Santa Barbara, dove, fino a pochi giorni prima tenevano prigionieri i franchisti. Alcuni di loro, di entrambe le fazioni, hanno lasciato la loro firma: la data è importante per capire di che parte fossero.

Ma la vera scoperta sono stati i rifugi antiaerei. Dopo aver chiesto in giro, scopro la mostra Alicante ha caido. Aquì termina la guerra. (Alicante è caduta. Qui finisce la guerra), che oltre a un piccolo museo, con pannelli esplicativi e i nomi delle vittime dei bombardamenti, permette di visitare due rifugi pubblici. Ci arrivo un po’ trafelata, sotto un sole cocente, ma il senor Paco è così gentile da infilarmi con l’ultimo gruppo in visita. Sono abbastanza buoi e umidi, scarne stanzette di muratura o cemento appena sotto la superficie, hanno ospitato silenziosamente centinaia di persone per chissà quante ore, custodendone le ansie e le preoccupazioni. Lì sotto, non c’era distinzione tra chi era repubblicano o falangista,  tutti potevano andare, soprattutto i bambini che, al momento della sirena, erano in giro senza genitori. Respetar el refugio en bien de todos.

Vi è anche un sito internet dedicato all’80esimo della fine della Repubblica – e quindi l’inizio della dittatura – con tutte le iniziative che si svolgono nel corso del 2019, ad Alicante e nei comuni circostanti, per discutere e ricordare quel triste e doloro passaggio nella storia della Spagna.

Infine, segnalo la presenza del MARQ, un ben fatto museo archeologico, che, nella sua collezione permanente, mette in mostra manufatti ritrovati nella zona che circonda la città, dal Neolitico fino al Medioevo, passando per la civiltà iberica e quella romana.


MARQ – Museo Archeologico di Alicante

 

La scoperta di Alicante è stata accompagnata dalla scrittura di Manuel Vázquez Montalbán e dal suo personaggio Pepe Carvalho, dando ancora di più corpo e sensazione alla città:

«Tra Alicante e il Mar Menor si radunava il primo calore di Spagna, calore di maggio, sole di maggio, mare di maggio, un anticipo dello splendore dell’estate, orate al sale, vini rossi di sangue di Jumilla necessariamente freddi, caldero di riso e salsa d’aglio, riso in crosta a Elche, insaccati aromatizzati con la matalahuva, fiore di anice.
[…]
“E quello che sta facendo che cos’è?”
“Pane e pomodoro.”
“E si mangia?”
“Ed è buonissimo, anche.”
“A me sa di catalano.”
Caravalho corroborò la presunzione e invitò le ragazze ad assaggiarlo, meritando ringraziamento e rispetto, ma non solidarietà. Arrivò il padrone della trattoria con una cassetta di pesce tuttifrutti e Carvalho gli prenotò un caldero per le due con la condizione che non abusasse di muggine e lo combinasse con scorfano, granchio, e pagello semmai, perché il muggine era troppo grasso.»

(Manuel Vázquez Montalbán, Gli uccelli di Bangkok)

Un ringraziamento al nonno Angelo Pizzirusso che, nonostante il motivo per cui ha visto Alicante, ci ha lasciato l’ottimo consiglio di camminare tra le sue strade.

Tutte le foto sono state scattate dall’autrice.