Quando Bari cacciò i fascisti

Un segno sulla città per ricordare le barricate dell’agosto 1922

di Francesco Mantovani

Passeggiando per le strade di Bari vecchia, dopo una visita alle mura, a piazza Mercantile e alla Cattedrale, per rifocillarsi non c’è niente di meglio di un bel pezzo di focaccia coi pomodorini, possibilmente accompagnata da una birra fresca. Dopo aver acquistato questi prodotti tipici in un forno a due passi dalla Basilica di San Nicola, mi sono ritrovato in un angolo molto particolare della citta vecchia, ovvero piazzetta Sant’Anselmo. Qui, in contrasto con gli antichi edifici lì presenti, ha sede la scuola materna “Vincenzo Diomede Fresa” che, inaugurata nel 1937, è un chiaro esempio di architettura razionalista. Sui muri bianchi si alternano svastiche e scritte che invitano a votare ora il Pci, ora l’Msi, come se i vari graffitari volessero appropriarsi di quello spazio, importante per qualche ragione a me sconosciuta.

Faccio pochi passi verso il centro della piazza e i miei occhi, staccandosi momentaneamente dalla gustosa focaccia, vengono catturati da una lastra della pavimentazione diversa dalle altre, più grande e più liscia, su cui spiccano i nomi dei sindacalisti Giuseppe Di Vittorio, Filippo D’Agostino e Rita Maierotti. Il progetto di questa “pietra d’inciampo” (termine usato in quasi tutti gli articoli della stampa locale in riferimento alla posa) è stato curato dall’architetto Arturo Cucciolla, su iniziativa del comune di Bari, Anpi, Anppia, Ipsaic e della Cgil Puglia, presenti al momento dell’inaugurazione il 1° maggio 2012, nel luogo dove sorgeva la Camera del Lavoro, a novant’anni dalla sua eroica difesa contro l’attacco dei fascisti.

Ciò che nell’agosto 1922 accadde a Bari rappresenta quasi un unicum nel panorama italiano: la formazione di un ampio fronte di resistenza all’ormai dilagante avanzata dello squadrismo fascista. Infatti, nei mesi precedenti tra i fautori dell’Alleanza del lavoro (coalizione di forze proletarie che comprendeva Confederazione Generale del Lavoro e Unione Sindacale Italiana), repubblicani e la sezione barese della Federazione nazionale dei legionari fiumani era venuta a consolidarsi un’azione comune in difesa di quelle masse proletarie contro cui, già dal 1920, si era scatenata la reazione fascista al servizio degli agrari. Si formarono così gruppi di Arditi del popolo, composti anche da comunisti che – tra giugno e agosto – fronteggiarono gli attacchi dei Fasci di combattimento.

Il 31 luglio l’Alleanza del lavoro aveva proclamato lo sciopero nazionale per il giorno successivo, il cosiddetto “sciopero legalitario”. Dal canto loro, le squadre d’azione fasciste guidate da Giuseppe Caradonna pensarono fosse giunto il momento di infliggere il colpo decisivo al movimento antifascista pugliese. Nei tre giorni che seguirono la proclamazione dello sciopero Bari venne letteralmente invasa da rinforzi fascisti (tra cui una legione proveniente dall’Emilia-Romagna), che sfilarono davanti alla prefettura e per le vie cittadine, tentando a più riprese di entrare nella città vecchia. La strenua difesa della CdL messa in atto da tutte le categorie di lavoratori, con l’appoggio degli Arditi del popolo e della popolazione, costò la vita a tre operai: Giusto Sale, Giuseppe Passaquindici e Vito Cafaro. Il terzo giorno a restare senza successo fu persino il tentativo della forza pubblica di entrare a Bari vecchia: per le vie infatti erano stati scavati fossati ed erette barricate. Dopo la strenua resistenza, il 3 agosto sera l’on. Di Vittorio dichiarò infine al prefetto la cessazione dello sciopero e la ripresa del lavoro per l’indomani.

Nonostante l’arresto di una trentina di ferrovieri e di molti socialisti, i fascisti avevano subito a Bari una sconfitta umiliante. Si rifaranno tuttavia presto, quando il prefetto Olivieri si farà convincere a intervenire drasticamente contro la Camera del Lavoro: nella notte tra il 7 e l’8 agosto l’esercito regolare, munito di mitragliatrici e autoblindo, entrò nella città vecchia e chiuse la CdL, arrestando i suoi dirigenti. Nonostante la scarcerazione dell’on. Di Vittorio pochi giorni dopo e la riapertura della Camera, dopo questo episodio si chiuse anche a Bari la stagione della resistenza attiva all’avanzata fascista. Il 31 ottobre 1922, dopo il giuramento del governo Mussolini, la CdL barese verrà definitivamente chiusa. Successivamente – come detto qui sopra – essa venne abbattuta per fare spazio alla scuola materna tuttora esistente, quasi si volesse cancellare l’emblema visibile e tangibile della débâcle subita dai fascisti.

Oggi si può parlare di storia e delle memorie di un passato sempre più lontano ma – in una certa misura – ancora attuale senza dover abbattere edifici. Non è neanche necessario erigere monumenti pieni di retorica e di nostalgico orgoglio. Si può guardare al passato partendo dai suoi resti (una scritta sul muro o un edificio) e dai luoghi dove è successo qualcosa di significativo. Si può per esempio immaginare una classe scolastica invitata a visitare il punto dove una volta aveva sede la CdL di Bari: dopo aver mostrato la lapide e descritto l’episodio ricordato, si potrebbe chiedere il perché di quelle scritte sui muri, proprio in quel luogo. Si può anche ragionare sul senso di un monumento così antiretorico come quello scelto per ricordare pubblicamente un evento che mostra come fosse ancora possibile creare un fronte comune opposto all’ascesa della dittatura, anche in un momento già molto favorevole per quest’ultima.

Una società democratica ha bisogno di narrazioni democratiche. Ecco perché la storia della resistenza barese può essere raccontata a partire da una piccola lapide orizzontale, posta in un luogo carico di memorie e significati. E – perché no? – gustando una bella fetta di focaccia fumante, simile magari a quella mangiata da chi resistette all’attacco fascista nell’agosto del 1922.

Fu una bella e magnifica pagina di storia, quella scritta dal popolo barese nelle tre gloriose giornate. Ricordandole, i lavoratori, i democratici, il popolo di Bari, possono avere l’orgoglio di dire: «Se almeno mezza Italia avesse potuto resistere, lottare e vincere come Bari, come Parma, come Roma e altre città, il fascismo non sarebbe mai arrivato al potere in Italia. Alla nostra Patria sarebbero stati risparmiati il danno e la vergogna di venti anni di tirannia e di dolori e la catastrofe determinati da una guerra ingiusta e non voluta dal popolo!».

Giuseppe Di Vittorio, in La Voce dei lavoratori, numero unico a cura dell’ufficio stampa della Camera del lavoro di Bari, agosto 1952.

Riferimenti