Napoleon

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Immagine tratta da MyMovies (https://www.mymovies.it/film/2023/napoleon/)

di Gian Luca Gonzato e Matteo Di Legge
Curatela editoriale di Eleonora Moronti

“Generals gathered in their masses
Just like witches at black masses

Evil minds that plot destruction
Sorcerer of death’s construction

In the fields, the bodies burning
As the war machine keeps turning

Death and hatred to mankind
Poisoning their brainwashed minds

Oh lord, yeah!”

War Pigs – Black Sabbath 1970 

È da poco uscito nelle sale Napoleon, ultima fatica di Ridley Scott che vede il premio Oscar Joaquin Phoenix vestire i panni del generale còrso. Si sa, il cinema consente di lavorare sul nostro immaginario del passato e, proprio grazie a questo, è uno strumento assai potente. Qual è quindi l’interpretazione di Napoleone e quale lettura degli eventi emerge nella nuova pellicola di Scott?

Napoleone, definito “Orco” dai suoi più acerrimi nemici, gli inglesi, personificazione di una forza brutale e terribile. Ma anche stratega eccezionale, statista, uomo della provvidenza per un popolo francese alle prese con le tensioni rivoluzionarie e le simpatie monarchiche, infine circondato da un magnetismo che non lo ha mai abbandonato, perfino dopo duecento anni. L’immagine del condottiero fiero e sicuro di sé è assai diffusa nella cultura popolare anche oggi. Gli appassionati di videogiochi, tanto per dirne una, ricorderanno il trailer italiano di Total War: Napoleon nel quale il generale dice che tutti lo temono perché «è un portatore di morte e distruzione». Ecco: almeno per la prima metà del film di Scott, dimentichiamoci del Napoleone Conquistatore. Dimentichiamoci di questo Napoleone.

 

Vita privata di un War Pig

Scott ci presenta un Napoleone war pig in piena regola (non a caso ci si affida alla celebre canzone dei Black Sabbath come leit motif della pellicola). Impresa per nulla facile e riconosciamo a Sir Ridley il coraggio di averci provato. Il film cerca, con un certo grado di successo, di umanizzare la figura del generale e questo è probabilmente uno degli aspetti più interessanti della pellicola. Il mito è compresso nel corpo di un Phoenix che fatica un po’ a scrollarsi di dosso il suo Joker, quando è alle prese con personaggi borderline e ricondotto all’interno del recinto emotivo della relazione con Josephine (Vanessa Kirby), vero e proprio baricentro della vita del generale e imperatore. Il Napoleone di Scott è repellente, untuoso, crudele, con evidenti problemi relazionali, un creep animato da furia distruttiva sul campo di battaglia e completamente inadatto alle relazioni sociali. Nell’avvicinare Josephine è impacciato tanto da riuscire a stento a comunicare con lei. In seguito, appare così soggiogato dagli impulsi e dalle questioni sentimentali da lasciare l’Egitto solo per verificare se la moglie avesse o meno un amante.

L’intera trama ruota così attorno a questa relazione che, al netto di alcuni momenti di delicatezza, appare decisamente tossica. Josephine è trattata come un oggetto da un marito meschino che la considera una sua proprietà, cui è assegnato il compito di dare alla Francia un erede. Quando questo non arriva Napoleone divorzia da lei, arrivando a schiaffeggiarla in pubblico. Nella rappresentazione di questo rapporto- la cui evoluzione è subordinata agli interessi dell’impero, secondo una prassi storicamente diffusa ai vertici dei sistemi autocratici- emerge il commento critico del regista che, come in altri suoi lavori, fa filtrare ampiamente la sensibilità contemporanea nella narrazione di un contenuto storico.

Tutto questo (insieme ad altri fattori, come il disprezzo riservato a Napoleone dalle grandi famiglie aristocratiche del tempo) serve a fare emergere le fragilità dell’uomo, del “nevrastenico bruto” (come lo definisce Josephine) e ha una sua logica nell’economia del film. Ma l’operazione riesce solamente in parte: l’interpretazione è così esagerata che un paio di volte sfocia nel camp e nel caricaturale, al punto da lasciar pensare che questa fosse una precisa intenzione registica. Ma soprattutto, non si può perdonare il fatto che questa soluzione narrativa arrivi a rubare una cospicua quantità di tempo, risorse e attenzione ai fatti storici. E qui veniamo alle note davvero dolenti.

 

Una storia troppo piccola 

Molti ed evidenti sono gli errori storici – Napoleone non ha assistito alla decapitazione di Maria Antonietta e non ha bombardato le piramidi di Giza, tanto per citarne un paio – ma le criticità non si limitano a questo. Per essere un kolossal – o, almeno, come tale era atteso – Napoleon è un po’ “piccolo” e apre una finestra sul passato eccessivamente ridotta. I grandi eventi sono trattati sbrigativamente, in un film che arranca spesso e volentieri, attraverso silenzi che vorrebbero ricordare quelli carichi di pathos di Barry Lyndon ma finiscono per stancare, spezzati da stranianti flash bianchi che sembrano messi lì probabilmente al solo scopo di richiamare l’attenzione dello spettatore, infiacchito dalla narrazione. Vi sono ampie omissioni e silenzi, non si accenna ad episodi rilevanti come la campagna d’Italia, per esempio. Silenzio anche sulle battaglie di Marengo, Jena o Lipsia.

Proprio sulle battaglie si rilevano le maggiori criticità: si ha l’impressione, fin dalla rappresentazione della battaglia di Austerlitz, che la fonte storica sul tema bellico sia la grande trascurata della produzione. Sullo schermo si susseguono scene confuse, cinematograficamente soddisfacenti per l’occhio ma insensate da un punto di vista della verosimiglianza bellica. È difficile non notare la sostanziale assenza della geniale visione tattica di Napoleone, analizzata per secoli e tutt’ora studiata nelle accademie di tutto mondo.[1] Il generale di Scott non commette errori, sono gli altri a commetterne, come lui stesso asserisce nel film, volendo scaricare la responsabilità della sconfitta di Waterloo sui suoi generali. Il problema è che di questi errori nel film non vi è traccia: non c’è Groucy che non raggiunge i prussiani[2], non c’è Ney che carica con la cavalleria contravvenendo agli ordini dell’Imperatore[3].

 

Uomini soli

Molti personaggi storici sono del resto rappresentati solo in brevi sequenze, oppure non compaiono affatto (uniche eccezioni sono Maurice De Talleyrand e il Marchese di Caulaincourt). In una storia sul vertice del vertice, questo Napoleone appare fin troppo solo, soprattutto sul campo di battaglia. Non vi è nessuna mediazione, non vi è nessuna comunicazione con gli altri marescialli: alla parola del generale segue l’azione delle truppe. Anche la rappresentazione dell’esercito desta qualche perplessità poiché è sempre messo in scena come una massa informe, un insieme indistinto, al quale sono affidate tre ricorrenti azioni: prestare la guardia, compiere azioni militari e ringraziare (o per meglio dire, esaltare) l’imperatore. Manca quasi completamente la quotidianità di quei soldati, eccezion fatta per l’arrivo di Napoleone a Tolone, quando una breve sequenza mostra le deplorevoli condizioni in cui versa l’Armata e per il momento del rientro dalla campagna di Russia. Ancora una volta la guerra, che coinvolge molti, viene raccontata come la storia di pochi.

Si potrebbero elencare molte altre debolezze di questa opera, ma perché infierire? La speranza è che, al netto di alcune trovate interessanti sulla demitizzazione del generale e della riflessione che pure emerge sulla relazione causa-effetto negli eventi storici, Napoleon rimanga un esempio su come non si debba girare un film storico. All’invito che Sir Ridley ha lanciato agli esperti e appassionati conoscitori del periodo a “farsi una vita”, rispondiamo che la storia non è un gioco. È una faccenda seria che ci riguarda tutti: è l’insieme delle vicende umane e chi decide di rappresentarle sul grande schermo ha la responsabilità di rappresentarle bene o, se non altro, con meno errori possibili, perché gli errori generano conoscenze sbagliate e, a lungo andare, un pubblico sempre meno consapevole.

 


Note:

[1] Il sito internet dell’Accademia Militare di West Point offre un atlante accademico eccezionalmente dettagliato sulla storia militare riferita a Napoleone Bonaparte, con minuziose mappe che rappresentano le fasi salienti di ciascuna delle sue campagne:https://www.westpoint.edu/academics/academic-departments/history/digital-history-center/atlases/napoleonic-wars

[2] Le responsabilità del Maresciallo Grouchy sull’esito della battaglia di Waterloo sono tutt’ora fonte di dibattito tra gli storici, ma l’errore tattico da lui commesso è appurato dalle fonti: Napoleone dette ordine a Grouchy di inseguire Blucher con un terzo delle sue forze, circa trentamila soldati, per impedire che le sue colonne potessero congiungersi con l’esercito anglo-olandese comandato da Wellington e impegnato a Waterloo. Grouchy si mise in marcia; non poteva sapere che il comando prussiano aveva deciso di marciare su una direttrice pressoché parallela a quello inglese, verso Wavre a nord, che consentiva una rapida conversione ad est in direzione di Waterloo. Il tempo perduto da Grouchy a capire le vere intenzioni dei prussiani risultò fatale, poiché consentì a Blucher di raggiungere il campo di battaglia di Waterloo proprio nel momento più difficile per gli anglo-olandesi con forze pressoché fresche, sancendo di fatto la sconfitta di Napoleone.

[3] Nelle fasi centrali della battaglia il tiro dell’artiglieria francese divenne particolarmente efficace e causò forti perdite alle prime linee nemiche; alcuni reparti furono dunque costretti a ripiegare di cento passi per trovare un maggior riparo. Questi movimenti e le notizie di convogli di feriti e sbandati che rifluivano verso la foresta di Soignes, trassero in inganno il maresciallo Ney che, ritenendo imminente la ritirata generale del nemico, ordinò a una brigata di corazzieri di attaccare subito. Sembra che Napoleone avesse assegnato al maresciallo il controllo dell’intero IV Corpo di cavalleria del generale Milhaud ma senza dargli l’ordine di caricare; l’attacco della cavalleria francese sarebbe stato sferrato su iniziativa personale di Ney. La carica, forte di tremilacinquecento sciabole per un fronte di un quarto di miglio, fu però relativamente debolee causò la morte di migliaia di cavalieri senza ottenere risultati significativi