Celebrazioni, anniversari e storia. Che cosa dimentica di ricordare l’Italia?
Gli interventi e le relazioni dei pophistorians nel panel della II conferenza internazionale indetta dalla Memory Studies Association (Copenaghen, 14-16 dicembre 2017)
Il Risorgimento italiano: Una memoria che divide
di Gabriele Sorrentino
In Italia le feste nazionali sono due: il 25 aprile ricorda la Liberazione dal nazifascismo, il 2 giugno, festa della Repubblica. L’Italia, invece, non festeggia il 17 marzo del 1861, data in cui venne proclamato il Regno d’Italia né altre date che celebrino il Risorgimento, cioè il processo storico che ha portato alla nascita dello Stato unitario. Come mai l’Italia ha dimenticato questo momento storico?
Il Risorgimento è stato un processo storico complesso che, però, si è sviluppato con una modalità che ha creato divisioni all’interno del Paese che tutt’oggi fatica a fare i conti con le storture di un processo che vide di fatto l’annessione da parte del Piemonte degli altri Stati pre-unitati. Anche la costruzione a posteriori della mitologia patriottica risorgimentale da parte dei vincitori è un elemento che, sul lungo periodo ha finito per dividere piuttosto che unire. Un esempio, a questo proposito, è una figura come il Generale Enrico Cialdini, che guidò la conquista del Regno delle due Sicilie con metodi che anche i contemporanei considerarono piuttosto brutali. La mitologia politica risorgimentale dedicò a Cialdini vie e piazze con scelte che oggi vengono messe n discussione in tutta la Penisola alimentando un uso a fine politico di questo personaggio.
Per crescere come Paese, l’Italia deve fare i conti col proprio Risorgimento e credo che per ottenere questo risultato occorra un approccio nuovo che svisceri questo travagliato periodo in tutte le sue problematiche al fine di unire vincitori e vinti per poter metabolizzare questo processo come elemento fondante del Paese.
INTORNO AL ’68: LA MEMORIA ITALIANA TRA RICORDI E LACUNE
di Marta Gara ed Elisa Gardini
All’avvicinarsi del cinquantesimo anniversario, in Italia non esiste ancora una memoria condivisa sul “’68”, termine con cui ci si riferisce ai movimenti sociali di contestazione di matrice giovanile, studentesca e operaia che nel nostro Paese si svilupparono tra il ’66 e il ’69.
Nel corso dei decenni si è infatti assistito a una strumentalizzazione politica della storia del ’68, favorita da diversi fattori. In primo luogo la fioritura di un’abbondante memorialistica di ex attivisti, divisa tra apologeti e detrattori del valore delle proteste di quella stagione. In secondo luogo la trasmissione della memoria del ’68 è stata fortemente influenzata da fatti ed idee successivi a quegli anni, come il mito della “lunga Resistenza” diffusasi nei primi anni ’70 o la violenza politica degli anni di piombo del decennio successivo.
Il paper intende perciò rintracciare i nodi e le ragioni storiche di un tale apparato memoriale e individuarne le lacune. Il ’68 è stato infatti in Italia, da un punto di vista storico, un incontestabile laboratorio politico e di partecipazione democratica. Manca però del tutto una memoria delle lotte e delle proteste realmente avvenute con le loro originarie cariche valoriali, che hanno per lo più riguardato giovani e studenti.
Gli anniversari decennali sono stati occasioni utili per approfondire lo scavo storiografico, ma non è stata trasmessa al grande pubblico la memoria dei documenti che narrano quel periodo. Nel calendario civile italiano non si è ancora individuata una data comune nazionale in cui accentrare occasioni di riflessione sul movimento sessantottino. Infine una memoria meno partigiana del ’68 potrebbe essere utile a stimolare un confronto tra l’attivismo del’68 e i movimenti giovanili di oggi, che pure intraprendono battaglie generazionali, di innovazione culturale, sociale e politica.
I terremoti italiani: luoghi di memoria, memoria mancante
di Silvia Lotti
Si possono immaginare luoghi della memoria dei terremoti, secondo la definizione di P.Nora? Può esistere un luogo della memoria del terremoto, che restituisca la dimensione della distruzione, se, per definizione, a ogni terremoto segue una ricostruzione degli edifici? Un luogo di memoria del terremoto è tale finché ne rimangono i segni visibili, oppure tali luoghi possono essere solo i borghi rimasti disabitati, come se ne vedono nel sud d’Italia?
I luoghi di memoria rappresentano un concetto importante per la costruzione di una memoria collettiva e permanente dei terremoti, data la potenziale diffusione in tutta la penisola. Da soli, però, sono solo uno spunto per l’elaborazione di una memoria comunitaria e nazionale, memoria che al momento è completamente mancante. Un certo tipo di memoria esiste, ma è frammentaria, territoriale, legata ai singoli eventi. Creare una memoria nazionale sarebbe invece auspicabile in vista della costruzione di una cultura della prevenzione, la principale urgenza attuale. In realtà, i presupposti per un percorso di elaborazione dei terremoti, a cui si possano connettere i luoghi di memoria, sono già presenti, sottoforma di semi nella letteratura italiana.
Inoltre, ogni terremoto rappresenta un trauma: la solidarietà tra gli italiani è cresciuta sempre più negli anni ed è semplice notare come tra un terremotato del Friuli-Venezia-Giulia (1976) e uno dell’Emilia-Romagna (2012) si crei empatia. Anzi, J.Dickie indica il terremoto di Messina, in Sicilia, del 1908 come indicatore di una ventata di patriottismo non scontato, in un momento storico in cui l’appartenenza nazionale sembrava non esistere. L’Unità d’Italia la fanno anche i terremoti, poiché si verificano dal nord a sud della penisola.
La creazione di una data sul calendario civile legata alla celebrazione del ricordo di tutti i terremoti italiani potrebbe essere un modo per sviluppare tale memoria?
La memoria è un processo selettivo che ci permette di ricordare date ed eventi, che nel caso di una memoria nazionale sono considerati importanti per creare identità e coesione nella popolazione richiamando eventi passati che nel tempo ricadono nella narrativa storica e nella vita culturale della nazione.
Oltre a ciò che viene ricordato e celebrato, ci sono molti eventi, periodi e momenti della storia nazionale che non riescono a trovare lo stesso spazio, non hanno una data specifica all’interno del calendario civile e non sono promossi a livello nazionale. Questa è la memoria che il panel si propone di investigare, quella che non rientra nelle celebrazioni istituzionali o nel calendario civile al giorno d’oggi, cioè un ricordo che nel tempo ha perso importanza in favore di altri ricordi, che lentamente sono diventati ben consolidati o di ricordi che non sono ancora riusciti a emergere completamente.
Esemplari in questa riflessione sono i ricordi legati al Risorgimento italiano, un momento complesso che ha avuto la sua stessa retorica all’inizio del XX secolo ma che ha perso importanza nel tempo, o il ricordo di eventi internazionali, come le proteste del ’68 , che hanno prodotto cambiamenti sociali, economici e politici su scala globale, ma che stanno ancora lottando per emergere nella memoria collettiva senza essere presenti ideologicamente.
Un altro esempio di difficile memoria da sviluppare a livello nazionale è quello relativo ai terremoti, un fenomeno che ha colpito molte aree della Penisola nel corso dell’ultimo secolo senza creare una memoria collettiva. Riteniamo che l’analisi dei ricordi di un paese non possa trascurare di prendere in considerazione anche gli eventi che restano sullo sfondo, ma che hanno contribuito anche a plasmare l’identità italiana e la sua storia nazionale.
Il resoconto della conferenza
Copenaghen, capitale europea moderna, dinamica ed accogliente, è la città che ha ospitato quest’anno, dal 14 al 16 dicembre, la II conferenza internazionale indetta dalla Memory Studies Association, l’associazione lanciata nel 2016 con la prima conferenza di Amsterdam e che riunisce gli studiosi ed i professionisti che operano per la conservazione e la valorizzazione della memoria pubblica e privata in numerosi ambiti.
L’approccio fortemente interdisciplinare proposto dalla Memory Studies Association e la possibilità di interagire con una rete internazionale di esperti negli studi memoriali non poteva lasciare indifferente PopHistory. Per chi come noi lavora a stretto contatto con il pubblico e fa la storia dal basso, la memoria è un campo d’indagine e di azione centrale per la costruzione e la narrazione delle storie che vogliamo raccontare. Con nostra grande soddisfazione la proposta di contributo che abbiamo inviato ha trovato l’approvazione del comitato scientifico, così una delegazione di soci si è messa in viaggio verso la fredda città del nord, con destinazione l’università di Copenaghen.
La delegazione PopHistory impegnata nella discussione del panel
PopHistory ha avuto la possibilità di discutere e confrontarsi sul tema delle memorie italiane divise e dimenticate, quelle che ancora non sono entrate a far parte dei percorsi istituzionali e quelle che sono state centrali in passato ma che oggi risultano marginali, portando all’attenzione tre casi concreti. Giulia Dodi, in qualità di chair, ha coordinato il gruppo di relatori: Gabriele Sorrentino (sul Risorgimento), Silvia Lotti (sui terremoti in Italia), Marta Gara e Elisa Gardini (sugli usi pubblici e politici della storia delle proteste del 1968). Il panel proposto da PopHistory ha consentito di riflettere sui processi culturali che permettono di far convergere la memoria pubblica su determinati temi, e sul perché altre tematiche restino escluse da una matura analisi memoriale, rimanendo confinate alle comunità locali o alle appartenenze culturali.
La nostra delegazione non si è certo limitata alla presentazione del proprio panel, al contrario ha avuto il privilegio di assistere a workshop, conferenze e discussioni, vivaci e stimolanti, che hanno ampliato ed arricchito il nostro modi di pensare e fare public history attraverso la lente della memoria. È spiccato ad esempio l’intervento di Lorenzo Zamponi della Scuola Normale Superiore di Pisa sull’analisi delle tendenze su Twitter dell’hashtag #ioricordo, ideato per commemorare i dieci anni dei fatti del G8 di Genova e poi ripreso anche da altre campagne memoriali (“#ioricordo beyond the G8: Social practices of memory work and the digital remembrance of contentious pasts in Italy”) , all’interno del panel “Digital media and memory in movements”. Tra i panel che più hanno colpito l’attenzione dei nostri soci segnaliamo quello riguardante il rapporto tra attivismo e memoria (panel 38, Memory Activism), in cui studiose internazionali hanno presentato alcuni casi di studio strettamente legati alla costruzione ed alla diffusione della memoria di persone e contesti che hanno lottato contro un potere oppressivo. In particolare i contributi di Joanna E. Sanchez Avila sulla figura di Berta Caceres, attivista hondurena che ha lottato a lungo in difesa degli indigeni dell’Honduras e contro le prevaricazioni dagli Stati Uniti (“Berta Vive! Todos somos Berta!”: How the Aftermath of Indigenous Honduran Activist Berta Caceres Assassination Haunts Honduras and the United States) e quello di Joannie Jean, che ha analizzato le modalità differenti di agire di alcune associazioni che si occupano della memoria dei desaparecidos del Cile (44 years later: differentiated mobilisation of memory in Santiago, Chile) hanno dimostrato quanto centrale siano il bisogno e la domanda di memoria che provengono dal basso e che sfociano in forme diverse ma ugualmente potenti di commemorazione.L’orgoglio più grande per PopHistory è rappresentato dall’aver avuto il coraggio e la forza di presentarci sulla scena internazionale, in punta di piedi ma con la voglia di dire la nostra, di condividere idee e di imparare nuove metodologie. E’ stato un privilegio essere stati selezionati fra gli oltre 600 interventi proposti da studiosi provenienti da tutto il mondo, e aver saputo costruire e gestire interamente un nostro panel, fra gli 80 presentati nell’arco dei tre giorni.
Alcune immagini dalla conferenza
Al termine di questa esperienza siamo più consapevoli di chi siamo, di quello che vogliamo fare, sappiamo che la strada che ci aspetta è lunga e non mancheranno tratti in salita, ma è anche passando da esperienze stimolanti come questa che possiamo ampliare i nostri orizzonti e rispondere alle sfide che ci aspettano. Copenaghen ci offerto spunti e idee che arricchiscono il nostro percorso, ci ha proiettato in una dimensione internazionale che stuzzica la nostra curiosità e aumenta la nostra volontà di metterci in gioco nell’ambito della public history, così importante e in crescita a livello globale.