La Colombia e i graffiti. Oltre Narcos

“Juegasiempre” dell’artista colombiano Sueña Art

di Silvia Lotti

Señoras y señores, ecco a voi la Colombia.

Bogotà, Cali, Medellin, Barranquilla, Cartagena, ormai sono tutti noi che conosciamo e, non appena li sentiamo nominare, nella nostra testa prende forma un’immagine: Pablo Escobar e Narcos. Quando parti, anche tu, molto probabilmente, pensi a queste stesse cose, o al massimo ti starai chiedendo se li incontrerai davvero, se davvero esistono, se è tutto così alla luce del Sole. Poi, per fortuna atterri e scopri un paese maestoso. Un paese in cui, da cittadina europea, abituata a voltare l’angolo e a sbattere contro a centinaia di anni di storia, puoi sentirti leggera, perché tutto questo semplicemente non c’è. È la naturaleza che domina.

Se proprio vogliamo parlare di storia, al massimo si può guardare indietro di duecento anni: nell’agosto 2019 si è festeggiato il bicentenario della battaglia di Boyacà (1819), subito dopo la quale Simòn Bolivar ha dichiarato l’indipendenza della Gran Colombia (Colombia, Ecuador, Venezuela e Panamà). Prima si può parlare solo di colonizzazione spagnola e di poche e scomparse tribù indigene. Di tutto ciò è rimasto poco, se non l’orgoglio nazionale, le bandiere e le statue di Simòn Bolivar ovunque.

La carrera 7 durante i festeggiamenti / la principale statua di Bolivar in plaza de Bolivar

Quella della Colombia è una storia schiacciata verso il presente, perché i problemi che sono comparsi durante la seconda metà del Novecento non sono ancora stati risolti, non sono passati del tutto.

Gli ultimi decenni di storia della Colombia sono stati percorsi da quello che i colombiani chiamano El conflicto, ossia uno scontro tra guerriglieri di diversi gruppi e fazioni contro il governo del Paese. L’origine di tutto questo risale a quando, nel 1957, l’accordo chiamato “Fronte Nazionale”, tra il Partito Liberale e il Partito Conservatore, stabilì l’alternanza alla presidenza ogni quattro anni tra i due partiti stessi. Questo evento, da una parte metteva fine a scontri violenti tra i sostenitori dei due partiti (conosciuti come La violencia), che andavano avanti da circa una decina di anni e che avevano provocato migliaia di morti; ma dall’altra parte ha fatto esplodere l’insofferenza di coloro che non rientravano in questi due gruppi, poiché escludeva qualsiasi altra opzione politica. Ecco allora che nacquero organizzazioni di guerriglieri tra i campesinos e veri e propri gruppi paramilitari. Le FARC, il principale gruppo di guerriglia colombiana, è stato creato solamente nel 1964, ma di fatto era uno dei tanti. È stato quello più potente, più longevo, più mediatico e che, con il tempo, ha finito per inglobare i più piccoli. Le FARC sono ancora cronaca dei giorni nostri, con i recentissimi accordi di pace che si sono tenuti negli ultimi anni, purtroppo ancora non conclusi e di difficile gestione[1].

Altri gruppi di guerriglieri conosciuti sono stati l’ELN, l’ELP e l’M-19. Con loro volle dialogare il presidente Betancour Cuartas nel 1982, avviando il principio di un processo di pace, che venne però interrotto con l’assalto, da parte dell’M-19, al Palazzo di Giustizia di Bogotà, dove vennero presi in ostaggio 350 giudici della Corte Suprema, di cui circa un centinaio persero la vita (di non tutti si riuscì a recuperare il corpo, diventando così desaparecidos).

 

Il fondatore delle FARC, Manuèl Marulanda Vélez, e una strage compiuta dall’M-19 nei quadri di Fernando Botero (Museo Botero, Bogotà)

In tutto questo, siamo negli anni ’80, il traffico di droga stava aumentando sensibilmente, Pablo Escobar e il cartello di Medellin, quello di Cali, la DEA, e qui, chi ha visto la serie di Netflix Narcos, sa già tutto. Insomma, per interi decenni guerriglieri politicizzati e ideologici, criminali di strada, narcotrafficanti, politica ed esercito formavano un groviglio veramente difficile in cui andare a ricercare i bandoli della matassa. Nel mezzo, la gente comune ha cercato solo di sopravvivere.

Il secondo tema di attualità sociale, che sta avendo un fortissimo impatto sulla società colombiana, sono le migliaia e migliaia di profughi e migranti venezuelani che, ormai da anni, affollano le strade e le città del Paese. Dopo che ne hai visti un paio, sai già riconoscerli a occhio: i pezzenti più pezzenti della Terra, che, spesso a piedi senza niente in mano, passando per le frontiere aperte tra Colombia e Venezuela, scappano dal regime di Nicolàs Maduro. La Colombia, nella difficile gestione di questa emergenza, ha sempre mantenuto un atteggiamento di accoglienza, anche inaspettato, nonostante il malumore tra la popolazione stia crescendo. Questi migranti si trovano dappertutto: nelle piazze e nelle strade, sul Transmilenio e sulle metropolitane, nei mercati, sempre a chiedere l’elemosina. Si trovano in tutte le città, comprese quelle particolarmente lontane dal confine con il Venezuela (giusto per dare un’idea di quanta strada siano disposti a fare pur di andarsene da un paese che di fatto è una prigione). Ormai l’ “essere venezuelano” è un’etichetta carica di pregiudizi, come noi possiamo intendere l’ “essere albanese” o l’ “essere rumeno”[2].

Questa storia colombiana, estremamente recente, trovano uno spazio di narrazione nei graffiti. Da diversi anni, nelle principali città della Colombia è attiva una grande comunità di street artist colombiani e no che, con muri e colori, lanciano provocazioni e pensiero critico verso il mondo. Anzi, in città come Medellin, i graffiti hanno rappresentato una via di rinascita, sociale e turistica, per interi quartieri. Qui racconto un breve tour per i graffiti di tre delle principali città del Paese: Bogotà, Medellin e Cartagena.

Bogotà

Capitale della Colombia, conta 8 milioni di abitanti, sta cominciando lentamente ad attrarre turisti stranieri, che affollano le strade de La Candelaria, il quartiere storico della città. A differenza dell’Europa, dove il centro storico è il cuore artistico, culturale, commerciale e turistico delle città, nel resto del mondo no. Anzi, probabilmente è un posto più pericoloso degli altri, in cui gli abitanti preferiscono non andare, o al massimo ricordano fino allo sfinimento a te, che invece vuoi andare, che devi stare molto attenta. Sicuramente delle precauzioni bisogna prenderle, ma sarebbe anche inutile alloggiare in quartieri più anonimi, benché più sicuri. La Candelaria riesce a tenere insieme tanti aspetti: la Colombia coloniale, la Colombia istituzionale con i palazzi governativi, i venditori ambulanti, gli ostelli per backpackers e i mercati dell’artigianato. Ma soprattutto, offre una particolare lettura della città attraverso gli innumerevoli graffiti che compaiono ad ogni angolo delle strade, che raccontano davvero tanto di questo Paese. Credo che ormai il Bogotà Graffiti Tour sia uno degli itinerari più frequentati dagli stranieri ogni giorno, un progetto nato dall’iniziativa di un colombiano che da bambino è emigrato a NYC e che poi ha deciso di tornare, un luogo portato avanti con passione da un collettivo di artisti (ma non solo) che si pone come protettore e promotore di cultura e arte in un luogo difficile, con base alla Casa Graffiti, nel luogo dove si dice che sia stata fondata la città.

I graffiti attraggono e scuotono allo stesso tempo, dietro a ognuno di loro c’è un significato ben preciso, molto spesso di forte critica sociale e politica. I temi che emergono sono tanti: le comunità indigene e la lotta per i diritti, i campesinos, lo sfruttamento dei bambini, le mine antiuomo e l’enorme numero di desaparecidos, le rivendicazioni femminili.

 

Nella foto centrale, un graffito che è stato commissionato dalla Croce Rossa per denunciare l’enorme numero di desaparecidos in Colombia, un problema però esteso a molti stati del Sudamerica.

 

Temi che riportano alle radici: la mazorca (il mais), i popoli indigeni, il femminismo

 

A questo particolare murales ha preso parte anche lo street artist italiano Ericailcane, che ha dipinto diversi edifici anche nella mia città. Il viso di questo bambino è stato fatto in ricordo di un ragazzino che alcuni anni fa è stato ucciso da un proiettile vagante mentre giocava in un parco de La Candelaria. Il murales nasce per dare voce ai suoi genitori, che da anni si battono per avere giustizia.

 

Il punto lungo la carrera 7 dove è stato ucciso, il 9 aprile 1948, Jorge Eliécer Gaitàn, presidente del Partito Liberale e promotore di idee socialiste. Si interessò ai problemi dei campesinos e alla proprietà della terra, da ministro dell’istruzione avviò una ferrea campagna di alfabetizzazione, garantendogli un enorme sostegno popolare. La sua morte, ad opera di un giovane fanatico conservatore, scatenò un’inedita rivolta popolare, chiamata Bogotazo, e, da lì, cominciò il periodo de La violencia.

    

La Catedral Primada in plaza de Bolivar/ il palazzo Presidenziale / Bogotà dall’alto del Monserrate

 

Medellin. Complessa, sociale, in rinascita

Una città senza fine, in zona montuosa e temperata, nel cuore del distretto di Antioquia, alle porte della zona cafetera. È stretta in una valle, per cui gli edifici si arrampicano famelici lungo le pendici dei monti che la circondano, come se fosse una gara a chi si avvicina di più al cielo. L’impatto con plaza Botero, è disarmante: poliziotti, pezzenti, prostitute, tossici che si mescolano a persone normali, famiglie e venditori ambulanti, tra le statue in bronzo dei gordos dell’artista colombiano che dà il nome alla pizza stessa.

Il cuore artistico della città di Pablo Escobar è il quartiere de La comuna 13, fino ad alcuni anni fa centro di guerriglia quotidiana, che vedeva scontrarsi tutte le fazioni possibili, con i cadaveri abbandonati per strada, oggi luogo di rinascita grazie a una comunità di artisti che ha coinvolto gli abitanti (onesti o meno) in un grande movimento di rinnovamento del quartiere, proprio grazie ai graffiti. Anche qui, è pieno di turisti colombiani e stranieri che vengono accompagnati da ragazzi del posto per un tour guidato tra le sue vie. Per quanto sia un’attività decisamente pop, che può essere vissuta anche con molta leggerezza nella primavera perenne di Medellin, in realtà, se ci si ferma a ragionare si possono desumere molti elementi di sofferenza, voglia di rivalsa, consapevolezza di vivere in un mondo difficile. I graffiti sono l’identità del barrio, vi è una partecipazione condivisa alla realizzazione, al mantenimento e alla narrazione dei suoi vicoli, che ha permesso anche la reintegrazione di ex criminali. Medellin è cuore aperto sulle ferite di questo Paese.

Ho avuto la fortuna di avere una guida che ha saputo coinvolgere nel raccontare una città che ama profondamente e che, con grande sollievo, sta vedendo crescere e migliorare ogni giorno che passa. Grazie a un’amministrazione lungimirante, sono stati apportati tantissimi miglioramenti nella gestione urbana e nella vivibilità, tant’è che nel 2013 Medellin è stata nominata città più innovativa del mondo. I problemi sicuramente sono ancora tanti, l’enorme favela fa impressione, ma dobbiamo anche pensare che Pablo Escobar è stato ucciso solo 25 anni fa e che il cambiamento non è stato per nulla immediato.

Questo graffito è probabilmente il più significativo della Comuna 13: la mano di un politico che gioca ai dadi la città intera. L’immagine serve a denunciare il trattamento che l’ex presidente Uribe aveva riservato alla città negli anni 2000: repressione totale, senza curarsi di distinguere tra normali cittadini e criminali.

 Scorci de La Comuna 13: Medellin sembra non avere fine

 

Cartagena (des Indias). Coloniale, colorata, turistica

Città coloniale per eccellenza, si respira in pieno l’atmosfera dei Caraibi e la loro umidità tropicale. È di certo una bellissima città, almeno la parte vieja, restaurata e patrimonio Unesco, alla ovvia e costante ricerca di turisti e le basta un attimo per conquistare il cuore di tutti gli europei. Probabilmente ha tanto da raccontare, ma avrei avuto bisogno di più tempo. Forse, mi sono avvicinata alla sua anima camminando una mezz’ora di un sabato mattina presto per le strade di Getsemanì, un quartiere popolare alle porte del centro storico: la piazza semivuota e silenziosa, con le empanadas bollenti comprate da un signore che le vendeva sulla soglia di casa a mille pesos l’una; una piazza che nel corso della giornata si sarebbe riempita di donne che si acconciavano i capelli a vicenda, venditori ambulanti di tutti i tipi, bambini che correvano, turisti con la loro lattina di birra, poveri che andavano a rovistare nel pattume nella speranza di trovare qualcosa da mangiare. Qui i graffiti, per quanto sinceri, servono più all’estetica degli edifici, a compiacere lo sguardo dei turisti; sono belli sì, ma sono meno carichi di senso.

 Il quartiere popolare Getsemanì, Cartagena

Finding Gabo: Cartagena è stata la città dove ha cominciato la sua carriera di giornalista

 El castillo de San Felipe de Barajas / Torre del Reloj / vista dalle mura

 

Ma, la naturaleza, dicevamo.

Per chiudere, infatti, torniamo proprio a lei, nel luogo naturale più incredibile di tutta la Colombia: la sierra de La Macarena, una catena montuosa parallela alle Ande, dove c’è un fiume che si colora grazie a delle particolari alghe. Una riserva protetta, immersa nel verde e nel silenzio, che fino a un paio di anni fa, vedeva ancora la presenza delle FARC, dove i guerriglieri irriducibili sono stati isolati dopo la smobilitazione. L’aria era ancora pesante, nonostante la bellezza.

 

Caño cristales e il tramonto sul fiume Guayavero, La Macarena (Meta, Colombia)

 

Un grazie infinito a Margherita e Nicola.

Tutte le foto sono state scattate dall’autrice nell’agosto 2019


Note:

[1] Per farsi un’idea migliore del problema FARC si può partire da una rassegna della rivista Internazionale

[2] Per farsi un’idea della crisi migratoria dal Venezuela si può partire dagli articoli della rivista Internazionale