La Scelta: la Resistenza. La Zona libera di Montefiorino

di Tiziano Picca Piccon

Qual è il prezzo di una guerra civile? Quale il vissuto delle comunità strette nella repressione dell’occupazione? Chi furono i protagonisti della lotta partigiana in montagna e cosa significò combattere come partigiani (ribelli, banditi per i nazisti)? Qual è il significato delle repubbliche, delle zone libere che si formarono in Italia dopo l’occupazione nazista?

Le sale del Museo della Repubblica di Montefiorino e della Resistenza italiana (www.resistenzamontefiorino.it/) sono un ottimo punto di partenza per chi vuole conoscere meglio queste tematiche. Esse ricostruiscono le vicende che portarono alla costituzione della Repubblica Libera di Montefiorino offrendo un esempio chiaro e ricco della lotta partigiana nelle province di Reggio e Modena. L’esperienza offerta al visitatore è quella di un percorso volto a ricostruire la Resistenza in montagna nei suoi aspetti militari, politici e sociali, in particolare analizzando e presentando ciò che avvenne, tra il settembre 1943 fino alla Liberazione, nella zona tra l’Appennino reggiano e modenese. Il quadro di riferimento entro cui si narrano eventi e storie è la dimensione nazionale e internazionale della politica fascista: l’approccio scelto è in grado di attirare l’attenzione sulla storia locale, sulla dimensione dell’uomo comune, e nello stesso tempo di inquadrare l’epopea fascista nel più vasto quadro europeo.

Il museo ha sede presso la suggestiva Rocca duecentesca di Montefiorino (MO), dalle cui torre si può ammirare il paesaggio circostante, teatro degli eventi narrati e di alcune tragiche vicende che hanno segnato, non solo la storia locale, ma che si sono riproposte in altre zone d’Italia. Basti ricordare il dramma delle stragi e delle rappresaglie, qui incarnato nelle 136 vittime della strage di Monchio e Cervarolo nel marzo del ‘44.

Nel 1970 il Comune di Montefiorino, posto a sud-ovest del capoluogo, è stato insignito della medaglia d’oro al Valor Militare in quanto “Vessillo della Resistenza fra numerosi comuni appenninici anticipava le libertà democratiche conquistando per primo a Repubblica partigiana una vasta zona montana, sul tergo e a insidia di importante settore difensivo della linea gotica”.

Infatti nell’estate del 1944 le formazioni partigiane dell’Appennino modenese e reggiano assaltarono i presidi fascisti e tedeschi nei comuni di Montefiorino, Frassinoro, Prignano, Polinago, Toano, Villa Minozzo e Ligonchio, dando vita a un’ampia “zona libera” di oltre 600 km quadrati e abitata da 50 000 persone.

Fra il 18 giugno e il 1 agosto 1944 ebbe vita l’esperienza della Repubblica partigiana di Montefiorino, presidiata da 7.000 partigiani modenesi e reggiani uniti nel “Corpo d’armata Centro-Emilia” comandati da Armando (il partigiano Mario Ricci).

E’ stata una delle prime zone libere a formarsi in Italia ed essa ha, come scrive Vasco Errani (ex Presidente della Regione Emilia Romagna), “dimostrato che dentro la guerra poteva esserci la pace, che dentro l’odio poteva esserci il confronto tra i diversi e il voto democratico”. Non dimentichiamo che i nazifascisti attaccarono a più riprese la zona libera di Montefiorino perché, scrive Errani essa “era una minaccia strategica per la sua posizione, a ridosso della Linea Gotica, per l’esempio che offriva della liberazione possibile, perché sanciva l’unità delle diverse forze politiche e ideali pronte a ricostruire il paese”.

L’esperienza della Repubblica di Montefiorino è importante da un punto di vista strategico-militare perché a ridosso della Linea gotica, per il controllo partigiano della centrale idroelettrica di Farneta (ritenuta strategicamente importante dai comandi tedeschi per poter rifornire di energia elettrica la Linea gotica) e di alcune vie di comunicazione strategiche per il controllo del settore . Ma soprattutto è importante come esempio di tentativo di coinvolgimento della popolazione nelle amministrazioni, con la creazione di giunte amministrative decise dai capifamiglia: la prima sperimentazione di un’alternativa più collettiva, più partecipata, più democratica della vita politica e dell’amministrazione dopo 20 anni di dittatura. Fu importante anche per le questioni pratiche che cercò di risolvere: prima fra tutte l’approvvigionamento alimentare per la popolazione e per i partigiani. Si occupò dell’assistenza sanitaria (creando anche un ospedale per i partigiani e i civili), di calmierare i prezzi e di una più equa tassazione.

Purtroppo, questa prima esperienza ebbe breve vita, in quanto i partigiani, sottoposti a violenti rastrellamenti nazifascista si dispersero: ma il territorio della zona libera tornerà sotto il controllo partigiano nell’inverno 1944-’45.

L’esposizione è particolarmente ricca da un punto di vista iconografico (filmati, fotografie, manifesti di propaganda, pagine di giornale) e varia nei contenuti. La narrazione degli eventi si esplica attraverso vari mezzi: l’esposizione di oggetti originali in teche di vetro , l’uso di modellini, accostamenti e confronti, utilizzo di panel multimediali per approfondire e contestualizzare, video e audio installazioni, ambienti ricreati ad hoc (come un bosco di montagna, ambiente della lotta partigiana ).

Gli oggetti esposti si fanno racconto della storia locale: l’oggetto è il testimone o il simbolo di un evento, di una storia, di un momento significativo della lotta partigiana o della vita della comunità di questo territorio durante la Seconda guerra mondiale. L’esposizione degli oggetti nelle diverse sale, gli accostamenti e i parallelismi scelti permettono al visitatore di immergersi nel clima dell’epoca, di “tastare” la vita quotidiana del partigiano e delle staffette, di incontrare il timore della popolazione per le rappresaglie, le stragi, i rastrellamenti, di vivere il clima della guerra civile ma, anche, la giovinezza degli uomini e delle donne che diedero il loro contributo alla Resistenza. I pannelli multimediali offrono un quadro globale della politica espansionistica e di aggressione messa in atto dal fascismo, affrontano alcuni temi significativi quali gli eccidi commessi in Italia e all’estero dal fascismo, la diffusione delle Repubbliche libere, il ruolo delle donne durante la lotta partigiana. Permettono, inoltre, al visitatore di spaziare all’interno delle tematiche affrontante scegliendo autonomamente il percorso.

Il tavolo multimediale posto nella Seconda Sala permette al visitatore di esplorare autonomamente attraverso scritti, fotografie, video, pagine di giornale, una cartografia delle guerre messe in atto dal Fascismo.
La violenza insita nella prassi fascista fu esercitata in Italia e all’estero. L’aggressione all’Etiopia, l’alleanza con la Germania nazista, la dichiarazione di guerra alla Francia, l’occupazione della Grecia portarono con sé stragi ed eccidi: questa fu l’eredità del sogno mussoliniano di un’Italia imperiale e fascista.

La varietà degli oggetti esposti, la complessità degli eventi narrati sono ricondotti ad alcuni aspetti e temi centrali che sono affrontati nelle nove sale in cui il Museo si articola. Le prime due sale sono di introduzione: contestualizzano il periodo fascista. Infatti la prima sala, con la proiezione di quattro diverse serie fotografiche, le teche con oggetti e divise dell’epoca, invita il visitatore a ripercorrere l’epopea fascista, dalla sua formazione al consolidamento del regime, sul piano locale e su quello nazionale. La seconda sala è dedicata alla Guerra Fascista: attraverso il tavolo multimediale è possibile esplorare con testi, immagini, fotografie e giornali la cartografia delle campagne militari attuate e delle stragi compiute dall’Italia fascista, a partire dall’aggressione all’Etiopia e poi a fianco dell’alleato tedesco tra il 1940 e il 1943. Trova ampio spazio l’esposizione di armi appartenute ai partigiani, ai “repubblichini”, ai tedeschi o agli Alleati. Esse sono state catalogate e studiate da Fabrizio Bertelli, autore di un prezioso vademecum (“I reperti bellici del Museo della Repubblica Partigiana di Montefiorino) sulle caratteristiche, sulla storia e sull’ utilizzo di ciascun arma durante la II guerra mondiale.


Teca e tavolo multimediale (pagina di giornale): Una divisa delle formazioni fasciste, con il corollario del manganello, e l’annuncio retorico e roboante della guerra sono emblemi di quella politica aggressiva che porterà il Regime all’avventura imperiale, con il suo corollario di stragi, e poi al sacrificio di un’intera generazione di giovani.

 

Mitragliatrice MG34: mitragliatrice standard dell’esercito tedesco durante la Seconda guerra mondiale, realizzata in Germania dalla Mauser, fu concepita per essere utilizzata come fucile mitragliatore se montata su bipiede, come mitragliatrice pesante in funzione antiaerea se montata su treppiede.

Nella terza sala si entra nello specifico degli eventi e delle situazioni che interessarono il territorio a partire dalla caduta del Fascismo: eventi e situazioni che si sono riproposti in altre zone d’Italia, spesso palesando le stesse difficoltà e le stesse condizioni.

Nella terza sala, intitolata La scelta, il visitatore è invitato a passare attraverso due pareti di vetro, una di fronte all’altra, che contengono foto, manifesti, scritti, armi dei giovani che vissero la guerra su fronti contrapposti: da una parte chi aderì ai bandi della Repubblica Sociale Italiana, dall’altra chi, invece, scelse la via della Resistenza. L’accostamento e la contrapposizione riflettono scelte differenti, ma riflettono anche lo sbandamento e l’incertezza di un’intera generazione di giovani dopo l’8 settembre 1943. Scelte che non furono spesso frutto di una maturazione politica consapevole, ma spesso di una costrizione , come nel caso dei bandi della Repubblica Sociale.

Fotografia 25 Luglio ‘43: all’annuncio dell’arresto di Mussolini, la popolazione si riversò nelle piazze e abbatté i simboli del fascismo. Ma nonostante la gioia, la guerra non era finita: in Italia, con l’occupazione nazista, lo sbandamento dell’esercito dopo l’8 settembre e la costituzione della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.), la guerra civile e di liberazione dai tedeschi sconvolgerà la parte settentrionale del paese.

La scelta: l’RSI Nel novembre del ’43 esce il primo bando di arruolamento della Repubblica Sociale italiana rivolto alle classi di leva 1923-25. Ai bandi e alla propaganda fascista si affiancherà la minaccia e la rappresaglia, anche nei confronti delle famiglie dei giovani chiamati alle armi. Dopo lo sbandamento dell’esercito, altri giovani sono costretti a scegliere: arruolarsi nella R.S.I. o scegliere un’altra via, ancora da definire, ma che porterà migliaia di giovani a scegliere lotta e la guerriglia in montagna.

La scelta: La Resistenza Dopo l’8 settembre iniziano a costituirsi i primi nuclei di Resistenza antifascista. A Reggio si formerà a fine settembre ’43 il Comitato di Liberazione, seguito nel mese seguente da quello di Modena. Entrando in una banda partigiana era uso scegliere un altro nome: la scelta del nome di battaglia sanciva il passaggio dalla vita civile a quella partigiana e serviva per esigenze di segretezza e per evitare rappresaglie contro i familiari. I partigiani riconosciuti dal Ministero della Difesa sono circa 250 000, a cui vanno aggiunti circa 120 000 patrioti. I caduti sono circa 40/45.000. Per l’Emila Romagna i partigiani e i patrioti riconosciuti sono circa 82.700.

Manifesto della Repubblica di Salò.

La quarta sala, invece, indaga la situazione della popolazione civile stretta tra l’occupazione nazista, i rastrellamenti, le stragi, e le esigenze della guerriglia partigiana. La quinta sala getta luce sul ruolo avuto dalle donne nella Resistenza e sulle difficoltà militari e logistiche del primo inverno della Resistenza in montagna.

Modellino: Posto di Blocco tedesco per il controllo dei documenti . A partire dall’estate del 1944 i tedeschi assunsero il controllo diretto della zona appenninica, vicino alla Linea gotica: i posti di blocco rappresentano il preludio ai rastrellamenti e alle stragi, che mirano a terrorizzare la popolazione per incrinare la fiducia nelle Forze della Resistenza.

Panel dedicato a Norma Barbolini: di Sassuolo (MO), ha un ruolo di comandante partigiano e a fine guerra avrà riconosciuto per il suo impegno la medaglia d’argento al valore militare.
Nella Resistenza le donne agirono spesso da protagoniste: aiuteranno soldati sbandati, famiglie ebree, prigionieri in fuga, ma esse stesse parteciperanno alla lotta con il ruolo di staffette oppure imbracceranno un’arma, come Norma Barbolini.

La sesta sala, Verso il Baratro, mostra la sagoma di due prigionieri con le mani legate dietro la schiena: sono quelle di due giovani partigiani modenesi, Aurelio Aravecchia e Dante Schiavone, fucilati durante il grande rastrellamento del marzo ‘44 che interessò l’appennino modenese e reggiano. Un altare da campo ricorda la vicenda di don Sante Bartolai, prete che assistette i due giovani e che fu poi deportato a Mauthausen.

Panel dedicato a Aurelio Aravecchia e Dante Schiavone: i due giovani furono fucilati durante il rastrellamento del marzo ’44 perché renitenti alla chiamata alle armi e perché trovati in possesso di alcune bombe a mano.

La settima sala dedicata alle stragi nazifasciste di Monchio, Susano e Costrignano in provincia di Modena e Cervarolo in provincia di Reggio Emilia, compiute nel marzo del 1944, è particolarmente suggestiva ed evocativa: i nomi delle vittime di queste valli proiettati nel buio della sala sono la testimonianza dei milioni di morti generati dalla politica aggressiva del fascismo e del nazismo.

Divisa del Reparto esploratori della Divisione corrazzata paracadutisti Hermann Göring. Diverse sono le azioni repressive messe in atto dai comandi tedeschi sulla popolazione civile nell’appennino modenese e reggiano: tra esse quella iniziata il 17 marzo 1944 dal capitano di cavalleria von Loeben, a capo della Divisione Herman Göring, nei comuni di Susano, Costrignano e Monchio e che avrà come bilancio 136 vittime (tra cui 8 donne e 4 bambini) e diverse abitazioni incendiate o fatte saltare.

 

Cinturone tedesco Luftwaffe 1940 della Divisa del Reparto esploratori della Divisione corrazzata paracadutisti Herman Göring: il motto Gott mit uns, in italiano: Dio con noi, era in origine il motto dell’Ordine Teutonico. Dopo la caduta dello stato dei Cavalieri Teutonici, divenne il motto dei re di Prussia, fino a divenire motto degli Imperatori tedeschi. Con l’avvento del Nazismo (1933), la fibbia rimane inalterata fino al 1936, quando, al posto dell’aquila di Weimar, viene inserita un’aquila in posizione di riposo, che ha negli artigli una svastica, lasciando inalterato il motto dell’esercito prussiano.
Il pezzo è preda bellica di un partigiano, come si può notare dalla limatura del fregio (con aquila e svastica)

L’ottava sala è dedicata alla repubblica di Montefiorino e alle esperienze delle zone libere nel Nord Italia: oggetti e pannelli multimediali ripercorrono eventi e progetti, tentativi di autogoverno, le necessità militari, i rastrellamenti e la battaglia di Montefiorino, il ruolo della stampa clandestina, il periodo del controllo partigiano nell’inverno 1944-45, la biografia di alcuni dei protagonisti. Sono presenti oggetti appartenuti al partigiano Armando (Mario Ricci) , che comandò la divisione Modena Armando, protagonista della lotta partigiana nell’appennino.

Pacco lanciato dagli americani. Il pacco contiene cibo e medicinali: per i partigiani, sottoposti ad un’economia di guerra in montagna, tutto era utile e anche i paracaduti, usati nei lanci, divennero importanti per essere utilizzati come stoffa.
I rapporti tra partigiani e Alleati furono spesso tesi, anche per il ruolo marginale che, in particolare gli Americani, volevano accordare alle forze della resistenza partigiana a ridosso di una zona strategica, quale quella della Linea gotica.

Divisa del comandante Armando (Mario Riccci), capo del Corpo d’armata Centro-Emilia.
La guerra in montagna richiedeva un abbigliamento adeguato: la mancanza di scarpe e di vestiario durante il rigido inverno non era un fattore secondario nel determinare l’esito di un’azione. L’abbigliamento dei partigiani fu estremamente vario e casuale: abiti civili, parti di divise prese al nemico, divise lanciate dagli aerei alleati.

L’ultima sala è dedicata alla Liberazione: una proiezione a parete mostra filmati originali della Liberazione, in particolare a Modena e Reggio Emilia.

La Stampa clandestina: alla propaganda fascista si contrappose, nelle difficoltà logistiche, l’attività di contro-informazione dei partigiani.

Una visita al Museo di Montefiorino è un’esperienza da consigliare: la scelta degli oggetti, i parallelismi nell’esposizione, l’interazione multimediale con contenuti ricchi e selezionati sono un ottimo osservatorio per comprendere la ferocia della guerra che si scagliò in questa zona dell’Appenino modenese- reggiano e per capire l’importanza che ebbero questi primi esempi di zone libere, dove dopo l’esperienza del fascismo, si cercarono e sperimentarono modi per far ritornare le popolazioni alla partecipazione politica democratica.

Scrive a tal proposito Claudio Silingardi, per anni direttore del Museo, “Anche se in sede storica non può essere accolta una rappresentazione retorica delle zone libere come momenti di anticipazione della futura democrazia, le esperienze di amministrazione democratica dei comuni posti sotto il controllo partigiano confermano comunque un processo di crescita e di maturazione politica della Resistenza, che nel caso di Montefiorino è ancora più significativo appunto per la sua precocità. Per questo la Repubblica di Montefiorino rappresenta una vicenda importante nella storia delle zone libere, diventando un punto di riferimento per quelle future.”

Il territorio circostante offre la possibilità di visite a siti commemorativi o a luoghi che furono interessati dagli eventi narrati. Due in particolare possono completare il percorso iniziato con la visita al Museo di Montefiorino: la Centrale idroelettrica di Farneta a Montefiorino e Il Parco della Resistenza di Monte Santa Giulia a Monchio. La prima, costruita durante il periodo fascista (1924-29), scampò ai bombardamenti alleati e fu protetta dai partigiani per impedire i sabotaggi tedeschi. Il Parco della Resistenza, invece, ospita il Memorial Santa Giulia, un complesso scultoreo realizzato per ricordare la strage del 18 marzo 1944.

Per le citazioni di Vasco Errani e Claudio Silingardi, e per un approfondimento degli eventi narrati, si rimanda alla Guida Storica del Museo della Repubblica Partigiana di Montefiorino di Claudio Silingardi, Edizione Artestampa, Modena 2005 (guida dell’allestimento precedente a quello attuale).