“I senza memoria” e la memoria della Shoah: un tema ancora aperto

#popreview, romanzo

Immagine tratta dal sito dell’editore

di Giulia Dodi

“I senza memoria”
(Géraldine Schwarz, Einaudi, Torino 2019)

Dopo la disfatta, e per lunghi anni, ai miei nonni
come alla maggior parte dei tedeschi mancò il distacco necessario
per rendersi conto che senza la partecipazione dei Mitläufer,
anche minima a livello individuale, Adolf Hitler non avrebbe potuto
commettere crimini di una tale portata.

Julius Löbmann, unico sopravvissuto della sua famiglia ai campi di sterminio, nel dopoguerra scrive a all’uomo che nel 1938 aveva acquisito la sua azienda, per rivedere i termini dell’acquisto ed essere risarcito. Karl Schwarz, l’acquirente, rimane tuttavia sconvolto dalla richiesta ed è deciso a non cedere alle rivendicazioni perché convinto di aver sempre agito secondo la legge.

È questo il punto di partenza del lavoro di Géraldine Schwarz, a metà tra ricostruzione storica e inchiesta giornalistica, per indagare la rimozione di quell’episodio e il significato che quella rimozione ha avuto nella storia della sua famiglia e, per esteso, nel modo in cui la Germania ha ripensato il proprio passato.

Géraldine Schwarz, giornalista franco-tedesca abituata ad occuparsi di inchieste per i maggiori organi di stampa internazionali, nel suo primo libro sceglie di mettere al centro dell’indagine la sua famiglia e ricostruisce una storia intima e privata, eppure così simile a quella di tante altre. Partendo da una singola vicenda personale, Schwarz riflette sul contesto culturale e politico della Germania ovest, che diventa poi spunto per ragionare sul processo memoriale che alcuni paesi europei hanno adottato nei confronti del proprio passato, in particolare sul loro coinvolgimento diretto nella Shoah. Dai suoi ricordi di bambina riaffiorano così i volti di nonno Karl e nonna Lydia, burbera coppia di Mannheim che nella vita ha affrontato tante avversità, su tutte quella di portare avanti il lavoro e la famiglia durante la Seconda guerra mondiale. Una famiglia come tante, di origini modeste e scarsi interessi politici, che dovette affrontare molti sacrifici per sopravvivere e dare una vita dignitosa ai figli.

Una vita che, però, sia Géraldine che il padre conoscono solo a grandi linee, frutto più di aneddoti e ricordi sfuocati che dei racconti di Karl e Lydia, entrambi piuttosto reticenti a parlare degli anni della guerra. L’autrice è quindi costretta ad affrontare un percorso a ritroso, che dai documenti e dalle lettere conservate nella cantina della casa di famiglia la porta indietro nel tempo. Ed è tra l’avanzare della guerra e le bombe alleate che cadono sulla Germania che la storia della famiglia Schwarz rivela aspetti sconosciuti.

Fra carte ingiallite e contenitori di documenti sgualciti, fanno la comparsa informazioni che aprono la strada a un passato diverso da quello immaginato: è così che Karl Schwarz si rivela essere stato un opportunista, che non ha esitato a rilevare la piccola azienda di prodotti petroliferi dei fratelli ebrei Julius e Siegmund Löbmann. Sfruttando la legislazione razziale, e la volontà dei nazionalsocialisti di arianizzare l’economia, Schwarz aveva pagato un prezzo molto inferiore al reale valore di mercato per diventare proprietario di una ditta che negli anni del conflitto gli aveva consentito di continuare a lavorare.

Al termine della guerra in Germania aveva prevalso la volontà di dimenticare gli orrori degli anni precedenti, di lasciarsi alle spalle il passato per ricostruire le proprie vite e così aveva fatto la famiglia Schwarz, desiderosa di proiettarsi nel futuro e dimenticare le ferite dolorose lasciate dalla guerra. Mentre lo scenario della Guerra Fredda iniziava a delinearsi, anche le azioni intraprese dalla giustizia si erano concluse velocemente e senza troppe conseguenze per i cosiddetti Mitläufer, “coloro che hanno partecipato solo nominalmente al nazionalsocialismo” secondo la definizione degli Alleati,[1]. In realtà proprio la vicenda della famiglia di Géraldine Schwarz dimostra come il contributo di coloro che avevano aderito al nazismo, pur senza troppa convinzione nei suoi ideali e seguendone le disposizioni più che altro per convenienza, sia stato decisivo nel progressivo processo di esclusione e uccisione degli ebrei tedeschi. Senza l’indifferenza della popolazione, se non proprio la sua complicità interessata, non sarebbe stato possibile colpire in modo così profondo e distruttivo il popolo ebraico.

La complicità nell’arianizzazione delle aziende ebraiche, la compilazione dei lunghi elenchi con i loro nominativi, le delazioni, il lungo lavoro amministrativo e logistico per predisporre le deportazioni, sono tutti elementi che hanno reso possibile la Shoah, e a compierli furono uomini comuni, spesso non violenti né crudeli, ma partecipi con le loro azioni dello sterminio. Eppure l’attenzione e le condanne del dopoguerra si sono concentrate soprattutto sugli alti vertici politici e militari, favorendo la rimozione del coinvolgimento di larga parte dei cittadini, e il ruolo centrale che quel coinvolgimento ebbe nella macchina di morte organizzata dal nazionalsocialismo.

Una volta raccontata la vicenda famigliare e la lunga rielaborazione memoriale della Germania, Schwarz allarga la sua riflessione ad altri contesti europei con i quali è entrata in contatto e di cui analizza la capacità di elaborare la propria storia. Il confronto è prima di tutto con la Francia, paese dove l’autrice è cresciuta e ha studiato, e del quale sottolinea il lungo perdurare della visione edulcorata secondo la quale il regime di Vichy avrebbe segretamente agito contro i nazisti. Solo negli anni Novanta, a decenni di distanza dai fatti, la Francia ha iniziato ad ammettere pubblicamente le proprie responsabilità e a condannare i colpevoli.

Non sfugge all’attenzione dell’autrice nemmeno l’Italia, della quale vengono messe in risalto le difficoltà a fare i conti con il fascismo e ad analizzare le atrocità compiute dal regime, allargando lo sguardo anche alla campagna coloniale. La prospettiva che adotta Schwarz è però più attenta alle recenti manifestazioni di nostalgici e neofascisti che al percorso di elaborazione che la memoria pubblica ha costruito intorno alla persecuzione razziale. Il lungo lavoro fatto dalla storiografia e le attività legate all’istituzione del Giorno della Memoria, e l’impatto che queste hanno avuto nel dibattito pubblico, non sono presi in considerazione; mentre ampio spazio è dato alle dichiarazioni di alcuni politici italiani che pubblicamente hanno sminuito le colpe del fascismo, da cui l’autrice deduce le difficoltà italiane a mantenere viva la memoria del proprio coinvolgimento nella Shoah.

Anche l’Austria, il cui ruolo era stato fortemente condizionato dall’Anschluss, l’annessione alla Germania del 1938, ha faticato molto a prendere coscienza delle proprie responsabilità, preferendo nasconderle dietro quelle tedesche; nel dopoguerra non ha operato una denazificazione completa, tanto che molti funzionari coinvolti negli apparati nazisti hanno mantenuto il proprio ruolo anche nei decenni successivi. Eppure l’influenza degli anni trascorsi sotto il regime nazista aveva toccato ogni ambito della vita del paese, con abitudini e tradizioni che arrivano fino ai giorni nostri. Basti pensare al ben noto concerto di Capodanno a Vienna, che ogni 1° gennaio raccoglie migliaia di spettatori e che in origine era stato pensato ed organizzato in onore di Hitler, ed eseguito dalla filarmonica di Vienna dopo che questa aveva espulso 13 musicisti soltanto perché ebrei.

I senza memoria è una lettura interessante per ragionare sul fatto che avere memoria degli eventi che compongono il nostro passato, e prestare attenzione al modo in cui vengono elaborati e proposti nei diversi momenti storici, è un esercizio indispensabile per capirne la successione, le cause e le conseguenze che hanno avuto, e renderci così più attenti a comprendere i meccanismi politici e culturali entro i quali ci muoviamo, per evitare di subire a nostra volta i progetti di chi detiene il potere. La memoria, che negli ultimi anni ha avuto un ruolo crescente nel discorso pubblico, ha spesso comportato la centralità delle vittime e delle loro esperienze, preziosissime fonti senza le quali non avremmo a disposizioni molte conoscenze ma che sono prima di tutto fonti, da vagliare e inserire in un contesto storico preciso. Schwarz rimanda al “dovere di ricordare”, alla necessità di elaborare pubblicamente il ruolo attivo con cui la popolazione europea ha preso parte alla Shoah, ma altrettanto importante è la storia di quegli eventi. La conoscenza critica del passato, la sua ricostruzione scientifica e metodologicamente riconosciuta è imprescindibile per acquisire la consapevolezza dei meccanismi politici e umani che resero possibile l’assoggettamento delle masse ai regimi nazifascisti. Comprendere perché la popolazione credette alle proposte politiche di Hitler, e come lo fece, anche a partire da piccole storie private come quella raccontata nel libro, è ancora il principale strumento a nostra disposizione per agire criticamente nel presente.


Note:

[1] http://germanhistorydocs.ghi-dc.org/pdf/eng/Denazification%202%20ENG.pdf