Il frutto più raro

di Eleonora Moronti
“È colpa di questo dannato mondo che ha distribuito male le carte, che fa degli uni re e dame sicuri di sé e degli altri semplici fanti armati di picche nei campi di canna da zucchero.”[1]
Si potrebbe partire da qui per riflettere su Il frutto più raro, ultimo romanzo di Gaëlle Bélem, dedicato alla storia del botanico Edmond Albius (1829-1880), nato schiavo nell’isola de La Réunion ed inventore di un efficacissimo metodo di impollinazione della vaniglia. La sua biografia è dunque il perno di questo elegante e potente racconto sulla distribuzione iniqua delle carte, cioè delle possibilità offerte dalla vita e su come gli esseri umani lottino per ribaltare il tavolo e il proprio destino.
Nato a Saint-Suzanne, nell’isola de La Réunion (nell’arcipelago delle Isole Mascarene nell’Oceano Indiano, occupata dai francesi nel 1642) Edmond cresce orfano nella piantagione di Ferréol Bellier-Beaumont, proprietario terriero schiavista e botanico. Analfabeta, all’età di soli 12 anni, Edmond appronta nel giardino di Ferréol un metodo per riuscire in un’operazione all’epoca considerata estremamente difficoltosa: l’impollinazione artificiale della vanilla planifolia.
Portentosa orchidea giunta in Europa dal Messico dopo la conquista di Cortés, la vaniglia produce baccelli dai quali si ottiene la spezia dall’aroma inconfondibile ma per secoli irriproducibile praticamente ovunque, eccetto che nel Messico che ne detiene il monopolio, in assenza di una tecnica che consentisse la fecondazione al di fuori dell’ambiente originario dove avviene quella naturale. L’arzigogolato sistema di impollinazione inventato dal belga Charles Morren (1836) e replicato dal francese Joseph Neuman (1837) viene superato da quello concepito da Edmond, che nel 1841, poco più che bambino, riesce a semplificare e potenziare il procedimento, sperimentando con le talee del vaniglieto di Ferrèol a Saint-Suzanne e provocando una vera e propria rivoluzione.
Nel giro di pochi anni, infatti, l’isola tropicale de La Réunion – designata già nel 1819, all’epoca di Luigi XVIII, come luogo deputato alla sperimentazione della fecondazione della Vaniglia – diventa il nuovo grande centro di produzione ed esportazione globale della spezia. L’effetto sui traffici commerciali, sulla cucina, sulla cosmetica e sulle abitudini domestiche e sociali dell’aristocrazia e della borghesia occidentale è travolgente e tanto più straniante e drammatico quanto più lo schiavo Edmond resta essenzialmente avulso dalla reazione a catena che il suo ingegno ha innescato. Il romanzo di Bélem riesce splendidamente a rendere il doloroso contrasto tra la soave malìa del commercio della vaniglia che trasforma usi e costumi delle comunità, generando ricchezze e occasioni, e la sostanziale esclusione di Edmond da questo stesso circuito di risorse e opportunità. Fino all’abolizione della schiavitù (1843-1848), la sua condizione lo condanna a un frustrante anonimato e alla miseria, tanto che lo stesso atto di affrancazione finalmente concesso da Ferréol nel 1848 non gli garantisce la strada per un’emancipazione concreta, messa al contrario a dura prova dalla spirale discendente in cui Edmond sembra a un certo punto precipitare.
Bélem descrive abilmente, nel quadro delle dinamiche schiaviste di sfruttamento e infantilizzazione degli oppressi, il contorto e contraddittorio rapporto di Edmond con Ferréol, padre e insieme aguzzino, i cui sentimenti restano in bilico tra condiscendenza paternalistica, orgoglio e malcelata invidia verso il ragazzo che non sa se considerare un figlio, un discepolo, un rivale, una compagnia o una proprietà. Ragazzo che del resto, da parte sua vive anche una condizione anomala nella comunità creola, rispetto alla quale l’integrazione, con poche eccezioni, non sembra mai essere totale.
Nel rappresentare le mille facce della predazione delle risorse Bélem mantiene un raffinato equilibrio narrativo tra fonte storica e licenza poetica, tessendo un racconto fragrante e dolente, arricchito da note documentarie archivistiche e pieno di immagini evocative avvolgenti. Seguendo le rotte del viaggio intercontinentale della vaniglia il romanzo sembra cogliere prospettive analitiche come quella di Amitav Ghosh sulla relazione tra la storia delle comunità e la storia della natura[2] e trasferirle nella narrativa.
La storia di Edmond diventa così emblematica del dramma degli spossessati del sistema colonialista e della sistematica sottrazione del diritto di autodeterminazione a cui vengono sottoposti attraverso la brutalità dell’oppressione, in un mondo in cui “la terra appartiene a quelli che lavorano i fiori, i fiori a quelli che li guardano”[3]. Nel bruciante paragone dello “schiavo di talento”, con Icaro si smaschera infine la retorica di un diritto all’emancipazione vincolato a una dimostrazione di capacità e di qualità che facciano spiccare l’individuo sugli altri, per riaffermare non solo il diritto di ciascuno di disporre delle proprie energie creative e intellettuali, ma quello più profondo di sperimentare l’esistenza con libertà e dignità, il presupposto essenziale di una vita vissuta con pienezza.
Note
[1] Gaëlle Bélem, Il frutto più raro. La scoperta della vaniglia (ed. or. Le fruit le plus rare ou la vie d’Edmond Albius) trad. it. Alberto Bracci Testasecca, edizioni e/o, Roma, 2025, pag,87.
[2] Si veda ad esempio: Amitav Ghosh, La maledizione della noce moscata. Parabole per un pianeta in crisi (2021), Neri Pozza, Vicenza, 2022.
[3] Gaëlle Bélem, Il frutto più raro, p.43.