Il noir mediterraneo e gli anni 70

di Silvia Lotti
Da Bacci Pagano all’Alligatore
Cosa ci rimane degli anni Settanta? Considerando la mia formazione e la mia esperienza lavorativa, direi l’abolizione delle scuole speciali e delle classi differenziali, che si portano dietro la riforma del diritto di famiglia e la legge Basaglia. Tutte piccole grandi rivoluzioni che fortunatamente sono ancora patrimonio di tutti noi, anche se in quel modo scalcagnato che solo noi italiani riusciamo ad avere. Molto più spesso, si pensa a questo decennio come gli anni di piombo: un decennio di violenza, di contrasti, di bombe, di morti noti e moltissimi sconosciuti, che vedeva fascisti contro comunisti, manifestanti contro polizia e governo, giovani contro adulti e così via. Sarà perchè non c’ero, ma gli anni 70 continuano, nonostante l’amarezza che hanno lasciato, ad affascinarmi. Ma ripeto, io non c’ero. Con l’accelerazione del fluire del tempo nell’epoca postmoderna, ciò che è stato vissuto dalla generazione precedente alla mia, sembra ormai lontano anni luce. Essendo venuta al mondo con la Seconda Repubblica, sono cresciuta in un clima di generale disinteresse politico, di politica mediata dalla televisione, di un numero sempre maggiore di persone che non vanno a votare: ogni volta mi accorgo di rimanere stupita dal pensiero che appena quarant’anni fa ci furono anni di passione e pensiero. Ho sempre cercato un modo per provare a capirli questi anni Settanta, immaginarli, scovarne il senso profondo, soprattutto ho cercato di comprendere cosa fosse la passione politica dei giovani di sinistra dell’epoca (degli altri, dei neri, francamente mi interessa poco), passione che a me manca. Poi, ho incontrato il noir mediterraneo. Bacci Pagano e l’Alligatore – alias Marco Buratti – mi hanno mostrato qualcosa. Purtroppo, come volevasi dimostrare, della passione politica di quegli anni non rimane molto, anzi, rimane solo una sensazione di sconfitta e impotenza, condite dalla malinconia dell’età che avanza. I loro autori, Bruno Morchio per il primo, Massimo Carlotto per il secondo, non sono nostalgici dei tempi che furono e, in più, riescono a mantenere uno sguardo lucido sul presente, continuando, attraverso i loro personaggi, a criticare ciò che non funziona nella società attuale. Bacci Pagano, genovese, fa l’investigatore privato con licenza, ma è sempre sul rischio di perderla, beve principalmente Lagavulin. Sta dalla parte dei perdenti in quanto figlio di un operaio genoano e comunista. Nel suo passato ci sono cinque anni di detenzione in un carcere di massima sicurezza in Sardegna, con l’accusa di terrorismo, possesso di arma da fuoco durante una manifestazione negli anni Settanta. Peccato che lui l’avesse solo trovata e volesse gettarla lontano per evitare che qualcuno si facesse male. Però è stato beccato e non è stato creduto. Viene chiamato a indagare su casi che di solito riguardano la politica e l’alta società genovese, rivelando come essere siano mosse da passioni personali e molto poco da valori onesti. Migliori si dimostrano gli ultimi tra gli ultimi che incontra tra I carruggi di Genova. Marco Buratti, padovano, investigatore senza licenza, ex musicista e cantante blues, beve calvados. Nel suo passato ci sono sette anni di detenzione in un carcere di massima sicurezza per partecipazione a banda armata durante gli anni di università. In realtà è un errore giudiziario, lui aveva solo ospitato un conoscente, il quale però era entrato in clandestinità. Essendo senza licenza, necessariamente viene portato a indagare sul lato più marcio della società, di solito quando il malaffare incontra la politica. Entrambi, dopo la detenzione, sono come rimasti spogliati di gran parte della loro passione nel vivere la vita, sono disincantati, hanno un’idea molto personale del legale e dell’illegale, hanno rapporti difficoltosi con mogli, compagne e fidanzate, ma non hanno abbandonato i valori politici e umani che li hanno ispirati in gioventù. Nonostante una realtà – per non dire destino – che con loro si è dimostrata tutt’altro che clemente, sono riusciti a non tradire se stessi. E forse è proprio questo che, grazie a Bacci Pagano e all’Alligatore, ci rimane degli anni 70, ossia la volontà di non tradire il nocciolo più profondo della nostra coscienza, a prescindere da tutto lo schifo che la vita può riservare all’essere umano. Per andare con ordine consiglio: Bruno Morchio, Bacci Pagano. Una storia da carruggi, Fratelli Frilli Editori, Genova, 2004; Massimo Carlotto, La verità dell’Alligatore, Edizioni e/o, Roma, 1995.
“E così eravamo alla fine. Con un lotto di sconfitti. Mentre gli altri, tutti gli altri, la gente felice, dormiva nel proprio letto. È così, inesorabilmente. Qui, e ovunque, sulla terra.” Jean-Claude Izzo, Solea