L’Ora più buia
Immagine tratta dal sito www.leganerd.com (http://leganerd.com/2017/09/28/lora-piu-buia-secondo-trailer/)
di Matteo Di Legge
“L’Ora più buia”
(2017, regia di Joe Wright)
Il rapporto tra il cinema e la vita degli uomini di potere è sempre stato molto stretto; la cinepresa e svariati registi dietro ad essa sono rimasti spesso affascinati dalla possibilità di narrare le storie di quei personaggi che hanno, nel bene e nel male, contribuito a dare forma alle vicende mondiali, ed il filone che oggi porta il nome di biopic è stato ed è tutt’ora uno dei più prolifici.
Nonostante questo, i film biografici sono pellicole tutt’altro che semplici da realizzare, a parte le ovvie difficoltà dovute alla ricostruzione di particolari periodi storici, oggi facilmente superate da una macchina organizzativa e produttiva come quella di Hollywood, che mai come ora riesce a rendere possibile l’impossibile. La vera difficoltà che si para innanzi al regista, e l’elemento che in ultima analisi risulta spesso il più debole di svariate di queste pellicole, è la capacità di restituire la vera essenza di un personaggio storico, anche solo attraverso alcuni particolari, guadagnando dal pubblico quella “sospensione dell’incredulità” necessaria a rendere credibile sullo schermo il proprio Roosevelt, Patton, Lincoln o in questo specifico caso Churchill.
Joe Wright, il regista dell’elegante e riuscitissimo “L’Ora più buia”, che ha permesso a Gary Oldman di vincere l’Oscar come migliore attore, si approccia a questo difficile rebus in modo intelligente: sa bene che Churchill è stato impersonato moltissime volte, sia al cinema che in televisione, quindi il “suo” Churchill dovrà avere necessariamente qualcosa in più degli altri, non solo nell’aspetto ma anche nella costruzione delle scene che lo vedono protagonista. Per superare il primo ostacolo viene convocato un truccatore leggendario, Kazujiro Tsuji, autore della straordinaria trasformazione di Brad Pitt in “Il curioso caso di Benjamin Button” e collaboratore di un’altra leggenda nel campo del trucco e dell’effettistica, Rick Baker. Egli riesce a trasformare la fisionomia di Oldman in maniera davvero impeccabile, restituendoci un ritratto autentico dello storico primo ministro inglese, e che gli vale la statuetta come miglior make-up.
Il secondo ostacolo è più complesso, e se l’interpretazione di Oldman raggiunge livelli davvero mai visti come immedesimazione (l’attore racconta in una intervista di essere stato costretto, per la parte, a fumare oltre trentamila dollari di sigari pregiati, col risultato di rischiare un avvelenamento da tabacco) la regia di Wright è l’altro grande motore di questo affresco tenebroso e materiale del periodo più difficile sia per Churchill che per l’Inghilterra. Il suo Churchill borbotta, sgrida le dattilografe, divora colazioni continentali, beve whisky al mattino, fuma costantemente l’enorme sigaro ed osserva preoccupato i destini di un’Europa sempre più stretta nella morsa nazista: le scene sono dominate da una fotografia plumbea dove la luce è solitamente attirata e riflessa dal pallido cranio pelato dello statista, chino su mappe, lettere, rapporti o tavoli da pranzo.
In ogni momento della pellicola si respira il clima della resa dei conti, sia per Churchill che per il mondo intero, e spesso Wright sottolinea la solitudine dell’uomo, l’uomo di potere ma molto umano, nella posizione di comando che nessuno vorrebbe, costretto a prendere decisioni che nessuno vorrebbe mai prendere, come ordinare ad una guarnigione di soldati a Dunkuerque di rimanere li a morire, per permettere ad altri di potersi ritirare. Egli lo ritaglia dalla scena, dentro una cabina telefonica nel suo bunker o in un ascensore, chiuso in una scatola disposta su un fondale nero, come un prigioniero; oppure grazie a sapienti carrellate e riprese aeree ci mostra cosa vede il personaggio, in una serie di quadri viventi che ritraggono la popolazione inglese, fiera e spaventata che si prepara all’imminente invasione o i profughi francesi che fuggono da Parigi, ormai compromessa. Qualcuno potrebbe certamente trovarci dell’agiografia in un film del genere, ed esso non è immune ad indulgere in una certa “liturgia laica” dedicata al capo di stato, ma essa scompare e perde di importanza alla vista della memorabile scena in metropolitana, nella quale il popolo inglese si stringe attorno al suo leader, con una sobrietà e determinazione che sono le caratteristiche più amate (e a volte anche più odiate) dei britannici; una scena in grado di emozionare e commuovere, che fa da proemio al discorso finale, uno dei discorsi più famosi della storia.
Combattere per le strade, nei campi, sulle piste di atterraggio e non arrendersi mai. In bocca a chiunque altro queste parole sarebbero sembrate ridicole e affettate, fanatismo puro semplice; ma in bocca a Churchill hanno avuto tutto un altro suono, e il film di Wright si conclude con il sardonico commento di Lord Halifax, uno dei grandi avversari di Winston: “…ha armato la lingua inglese e l’ha spedita a combattere…”. Ma non è forse questo uno dei principali indizi sulla grandezza di un individuo, ovvero la capacità di rendere semplici parole sorgente di coraggio e resistenza, laddove non sembra esserci speranza?
Io sono convinto di sì.