Primo Levi, una graphic novel per il Giorno della Memoria

#popreview, Giorno della memoria

Foto di MonozigoteOwn work, CC BY-SA 4.0, Link

di Giulia Dodi

“Primo Levi”
(di Matteo Mastragostino e Alessandro Ranghiasci, BeccoGiallo, 2017)

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,
perché ciò che è accaduto può ritornare,
le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate:
anche le nostre.[1]

Una classe di scuola primaria e un testimone della Shoah che entra in aula per raccontare la propria storia, in una mattina di scuola come tante; sembra una scena già vista più volte, di quelle che ogni anno si ripetono in tante scuole italiane in prossimità del 27 gennaio, Giorno della Memoria.

Eppure di consueto in questa storia non c’è nulla, a partire dal testimone che è anche il protagonista del racconto, quel Primo Levi che è divenuto una delle voci per eccellenza della Shoah, con la sua vicenda così emblematica di quella di milioni di altri perseguitati, e con la sua capacità di raccontarla in modo semplice e diretto, senza omettere nulla dell’orrore che ha vissuto ma senza indugiare mai più del necessario sull’efferatezza di quei momenti.

Matteo Mastragostino, che firma la sceneggiatura, e Alessandro Ringhiasci, che ha curato i disegni, insieme all’editore Becco Giallo hanno scelto di proporre una storia potente e ancora oggi estremamente importante attraverso una figura cardine della memoria della Shoah, non solo italiana. Ne è uscito un racconto preciso e delicato, accurato in ogni dettaglio e originale nella forma in cui è presentato, tanto da essere adatto ad ogni età e da prestarsi tanto al lavoro didattico quanto alla lettura personale.

La storia si svolge nell’autunno del 1986, a pochi mesi dalla morte di Levi e ben prima che la Shoah riuscisse a raccogliere l’interesse degli storici e della popolazione, in un momento in cui le informazioni erano ancora poche e l’interesse molto scarso verso queste vicende che sembravano appartenere a un passato lontano e un po’ sfocato, e men che meno vi era l’idea di una giornata appositamente dedicata per ricordarne tutti gli aspetti.[2]

La narrazione è costruita attraverso un continuo intreccio tra il presente, in cui Primo Levi testimonia uno dei momenti centrali tanto nella sua esistenza quanto nella storia del Novecento, e il passato, in cui quelle terribili vicende si sono svolte; una distinzione visibile anche nella grafica utilizzata da Ranghiasci, più luminosa nelle scene ambientate nel 1986, più cupa e soffocante in quelle degli anni Quaranta, mantenendo comunque lungo tutto il racconto l’uso del bianco e nero.

Nel susseguirsi delle tavole, Primo Levi raccoglie faticosamente le energie necessarie per raccontare quello che è stato e per dare voce ai tanti che non sono tornati dai campi di sterminio e non possono raccontarlo, per evitare che qualcosa o qualcuno possa essere dimenticato. Particolarmente efficace è la scelta dei dialoghi tra i bambini, che pongono domande semplici e allo stesso tempo spiazzanti, e Primo Levi, che risponde con accuratezza, scegliendo bene le parole da usare, trasmettendo con vividezza il dolore e la solitudine che hanno lo hanno accompagnato non solo negli anni della persecuzione, ma anche in quelli successivi, in cui pochi era disposti ad ascoltare davvero ciò che aveva da dire.

Questa è anche una storia che propone una ricostruzione molto personale della figura di Primo Levi, raccontato come ebreo nel lager, come testimone impegnato a tenere viva la memoria ma anche come sopravvissuto, con tutto il peso e l’angoscia che questo ha significato per lui. Nel racconto fanno capolino anche personaggi già presenti nelle opere di Levi e momenti descritti nei suoi racconti, rendendo così omaggio alla sua straordinaria capacità di raccontare in modo letterario il passato, ma si intravede anche il peso che quel passato così duro esercita ancora su Levi anche a molti anni di distanza. Mastragostino fa intuire la stanchezza e lo sconforto che hanno caratterizzato gli ultimi mesi della vita di Levi, tratteggiando così una figura complessa in cui convivono speranza e paura, desiderio di raccontare e incapacità di elaborare una spiegazione razionale, prima di tutto per sé stesso. Primo Levi è divenuto sempre più uno dei punti di riferimento nel racconto della persecuzione antiebraica, oggi più che mai letto, tradotto e commentato in Italia e all’estero, ma è anche un uomo di cui rimangono aspetti nascosti e sfuggenti, a partire dall’incertezza che avvolge la sua morte. In questo caso l’autore è molto abile a tenere insieme queste molte sfaccettature, l’uomo e il testimone, il chimico e lo scrittore, il ragazzo che fu e l’uomo che è diventato. In tutti questi aspetti, però, rimane centrale il desiderio di raccontare la verità, di mettere al centro la descrizione precisa dei fatti e dei diversi protagonisti, mostrandone la complessità e senza nascondere gli aspetti più controversi.

Dal punto di vista della public history è particolarmente utile, soprattutto in un prodotto di questo tipo, la scelta dello sceneggiatore di inserire una cronologia puntuale sulla biografia di Primo Levi e di fornire alcune indicazioni bibliografiche con cui approfondire la sua figura, oltre a tratteggiare brevemente i personaggi realmente esistiti a cui si fa riferimento nel racconto. Si tratta di un’accortezza non scontata e che dimostra la volontà di proporre un lavoro accurato, pensato per un pubblico ampio al quale fornire anche gli strumenti per proseguire autonomamente la scoperta di Primo Levi, sia come autore sia come testimone. Da un lato la storia e la sua sceneggiatura sono frutto di un lavoro di fantasia, benché con spunti e riferimenti esplicitamente presi dai lavori e dalle testimonianze che ha lasciato Levi, dall’altro c’è un ancoraggio puntuale alla storia e ai principali fatti che hanno scandito tutta la vita dello stesso Levi.

L’interesse di una pubblicazione di questo tipo è data anche dal momento storico in cui viviamo, ad oltre vent’anni dall’introduzione del Giorno della Memoria, un periodo di tempo in cui questa data è divenuta paradigmatica di un’epoca sempre più propensa a riempire il calendario civile di date da ricordare. Oggi gli studiosi hanno iniziato a riflettere in modo critico su come la centralità delle vittime e del racconto memoriale abbia cambiato il modo di pensare il passato, e guardano con attenzione alle conseguenze che questo modo di raccontarlo ha prodotto. Il passaggio dalla narrazione testimoniale degli oppressi alla riflessione pubblica non è stato affatto semplice e ha posto al centro del dibattito delle domande che tuttora toccano i nervi scoperti della storia europea del XX secolo. Da un lato lo slittamento dal dolore privato al racconto pubblico ha dato impulso alla costruzione del discorso sulla Shoah, dall’altro proprio questo passaggio ha fatto diventare l’esperienza del singolo individuo il fondamento della dimensione assoluta del male che si trasmette di generazione in generazione.

La centralità che ha assunto la Shoah nel racconto della storia del Novecento ha fatto sì che non si tratti solo di una ricostruzione dei fatti ma che sia diventata sempre più parte della rappresentazione con cui comunità nazionali hanno dato forma alla propria identità, dosando ricordo ed oblio. La memoria della Shoah, infatti, non deve essere considerata una questione ebraica ma riguarda da vicino la costruzione dell’identità e della memoria europea, tocca i temi della cittadinanza e dell’uguaglianza e chiama direttamente in causa la riflessione sulla responsabilità individuale e collettiva. Più che mai oggi, quindi, diventa determinante continuare a interrogarsi sulla Shoah, e trovare nuovi modi per farlo, così da misurarsi con i valori e le paure delle società attuali, mettendo in discussione tanto l’oggetto dell’indagine storica quanto la sua ricostruzione nell’intreccio tra storia e memoria.

In quest’ottica una graphic novel come Primo Levi si dimostra uno strumento semplice ma non banale, capace di restituire una vicenda complessa in un modo scorrevole ed efficace. Più che mai ora che i testimoni diventano sempre meno, e i riferimenti alla Shoah sono talvolta decontestualizzati e banalizzati sui mezzi di comunicazione, è importante volgere lo sguardo a strumenti capaci di ridare forza alle loro parole senza distorcerle, e di raccontare le vicende storiche in un modo che sappia tenere insieme l’accuratezza dei fatti e la capacità di suscitare interesse.

Note:

[1] P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 1986.

[2] Il governo italiano ha introdotto il 27 gennaio quale Giorno della Memoria con la legge n.211 del 20 luglio 2000.