Shogun

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di Matteo Di Legge
“Hana wa sakuragi, hito wa bushi”
“il migliore dei fiori è il ciliegio, il migliore degli uomini è il guerriero”.
La miniserie Shogun, adattamento dell’omonimo romanzo di James Clavell pubblicato nel 1975, porta sul piccolo schermo un mondo di intrighi, onore e conflitti in una ambientazione, quella del Giappone feudale, affascinante e complessa. La serie narra le vicende di John Blackthorne (Cosmo Jarvis), un marinaio inglese che sopravvive a un naufragio sulle coste del Giappone. Blackthorne si ritrova suo malgrado coinvolto nelle lotte politiche che segnano l’epoca[1], e in particolare nei destini del Signore del Kanto, il carismatico Yoshi Toranaga (Hiroyuki Sanada) tra alleanze che si formano e si dissolvono, conflitti e scoperte che segneranno per sempre il destino di Oriente e Occidente.
Incontro/scontro di civiltà
Il ruolo di Blackthorne nella narrazione è emblematico dell’incontro tra queste due culture. Egli è infatti un occidentale piuttosto ottuso, specialmente all’inizio, costretto a confrontarsi con un sistema di valori, credenze e regole a lui completamente estraneo e con il quale entra ripetutamente in conflitto. Il suo percorso di crescita personale, tra il tentativo di comprendere una cultura tanto affascinante quanto aliena e il suo adattarsi alle dinamiche politiche giapponesi, è senza dubbio il perno dell’intera serie. La sua relazione con la cultura giapponese, con Toranaga e in special modo con Mariko-sama (Hiroe Ishihara), fornisce una riflessione interessante sulle differenze tra le due civiltà, che si mescolano e si scontrano ripetutamente nel corso degli episodi. Da questo scontro Blackthorne emerge cambiato, al punto da non riconoscersi più nei suoi ‘simili’, ovvero negli occidentali come lui. Il desiderio di tornare a casa lascia il posto alla consapevolezza di aver trovato forse il suo ‘posto’, pur così distante dai suoi luoghi d’origine. Blackthorne diventa infatti una specie di singolare consigliere per Toranaga, fornendogli un punto di vista nuovo che i suoi nemici faticheranno a prevedere, poiché estraneo al loro modo di pensare. Ciò fornirà a Toranaga un vantaggio che egli sarà abile a cogliere, al contempo arrivando a rispettare l’occidentale, riconoscendone l’intrinseco valore, al netto delle differenze culturali.
La figura di Mariko
Tuttavia il personaggio forse più riuscito della serie è Mariko, incarnazione di forza, intelligenza e vulnerabilità in una miscela che spesso pone i due coprotagonisti in secondo piano. Nel corso delle puntate risaltano sempre più spesso la sua profondità emotiva, il suo spirito di sacrificio e la sua capacità di agire con grande diplomazia, pur lottando sia con le forti emozioni che si agitano sotto la superfice di un carattere altrimenti imperturbabile che con il suo ruolo in una società dominata da norme rigide e aspettative soverchianti. La sua relazione con Blackthorne è una delle più potenti e complicate della serie e la sua evoluzione è centrale per l’intera narrazione. Scelta come interprete da Toranaga per interagire con Blackthorne, diventerà il ‘ponte’ tra i due uomini e non solo, anche tra le due culture, impersonando di fatto la chiave di volta dell’intero racconto.
Il recinto a otto pareti
Shogun è soprattutto un profondo viaggio attraverso le differenze culturali. La serie esplora temi come l’onore, la lealtà, la cultura del sacrificio e l’importanza delle alleanze politiche. Ma è anche un’analisi sulla tolleranza, sulla solidità delle barriere culturali e sul potere della comprensione reciproca, che porta il protagonista a cambiare non solo il suo destino, ma anche il suo modo di vedere il mondo, mentre sullo sfondo infuria la lotta per il potere, rappresentata dalle figure di Toranaga e di Mariko, che navigano attraverso le insidie politiche del Giappone dell’epoca, fronteggiando le molteplici minacce interne ed esterne che si parano davanti. Entrambi si dimostrano capaci di volgere quasi sempre le situazioni a loro favore, mantenendo in ogni istante controllo sugli eventi, elemento simboleggiato dal tema del ‘recinto ad otto pareti’ che viene citato spesso nella serie: sono ambedue individui calati dentro un dedalo di sfaccettature caratteriali, atte a mascherare il turbinoso mare di emozioni che la rigidissima cultura giapponese obbliga loro di ignorare, nascondendole alla vista da mura inviolabili[2], ma ciò li rende imperscrutabili e imprevedibili, anche e soprattutto per i loro nemici.
Accuratezza e fedeltà
Come comparto produttivo, la serie è di qualità superiore a molti altri prodotti di ambientazione storica visti di recente. Le scenografie sono spettacolari e il Giappone feudale è ricreato con una meticolosità mai vista prima in questo genere di produzioni, che trasporta lo spettatore direttamente nel cuore della cultura samurai. Le ambientazioni, dalle residenze dei samurai ai villaggi rurali, offrono una visione più che tangibile del periodo, mentre Ia cura nella realizzazione di costumi, armi e accessori contribuisce a un’accuratezza che rende ogni scena una gioia per gli occhi. È bene sottolineare che Hiroyuki Sanada ha rivestito anche il ruolo di consulente speciale della serie, oltre che di attore protagonista, con il preciso obiettivo di ottenere la migliore trasposizione possibile. La serie è inoltre recitata in giapponese sottotitolato, per garantire una autenticità ancora maggiore.
Da vedere?
In conclusione, Shogun si rivela essere un piccolo gioiello, un esperimento pienamente riuscito di trasposizione per il piccolo schermo di un romanzo storico. Una serie creata con una cura quasi maniacale, ma con la concreta volontà di non snaturare né il materiale di partenza, ovvero il romanzo, né le fonti storiche. E se James Clavell si prese qualche libertà narrativa, drammatizzando alcuni aspetti della cultura giapponese per enfatizzare la narrazione, la serie ha il pregio di colmare questo (seppur lieve) divario, offrendo una trasposizione tangibile e oltremodo realistica della cultura del periodo Sengoku. Questo impegno encomiabile ha creato un prodotto davvero notevole, che si spera possa essere d’esempio su come creare opere di intrattenimento a tema storico e funzionare come premoria di quanta cura è richiesta. Come la parola Samurai, che significa servire, la speranza è che Shogun serva a portare ancora più storia e amore per le fonti originali all’interno dell’intrattenimento, due mondi diversi ma che possono coesistere, così come Oriente e Occidente.
Note:
[1] La miniserie si svolge nel Giappone feudale dei primi anni del 1600, in un periodo di transizione dal caos delle guerre civili alla stabilità sotto lo Shogunato. Clavell, nel tratteggiare le caratteristiche di Toranaga, si è evidentemente ispirato al futuro Shogun, Tokugawa Ieyasu, e all’alba di quella dinastia che governerà il giappone per i successivi due secoli e mezzo, dal 1603 al 1868, con lo scoppio della Guerra Boshin. Si tratta di una fase storica fondamentale per il Giappone, che ha visto la fine dei conflitti tra i daimyo (i signori feudali giapponesi) e l’instaurarsi di una nuova era di rigida disciplina e centralizzazione del potere. Se Toranaga può essere assimilato a Tokugawa, Blackthorne trova diverse sue controparti nella storia, ma quella più somigliante è senza dubbio William Anderson (1564-1620), navigatore inglese giunto in giappone proprio negli stessi anni di Blackthorne, entrato nelle grazie del futuro Shogun Tokugawa fino a raggiungere il grado di Samurai.
[2] Il monologo di Mariko è significativo nella sua semplicità: “Fin da bambini noi impariamo a scomparire dentro noi stessi. A erigere mura inviolabili dentro cui viviamo quando abbiamo bisogno. Dovrete addestrare voi stesso ad ascoltare, senza sentire. Per esempio, potete ascoltare il suono di fiori che cadono o di rocce che crescono. Se veramente ascoltate, allora di sicuro il presente svanisce. Non fatevi incantare dalla nostra amabilità, dai nostri inchini o dai cerimoniali. Sotto a questo possiamo trovarci a grande distanza, soli… e sicuri.”