I leoni di Sicilia. Il Mediterraneo, l’Italia, la storia di una famiglia

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Angolo di visuale della scalinata del Villino Florio di Palermo
Foto di GiuseppeTOwn work CC BY-SA 4.0, Link

di Chiara Lusuardi

“I Leoni di Sicilia”
(di Stefania Auci, Editrice Nord, Padova, 2019)

C’è il sapore del verismo verghiano nell’ultimo romanzo di Stefania Auci, I leoni di Sicilia (Editrice Nord, Padova 2019). È il sapore del sale marino, è l’odore penetrante delle spezie, è lo sguardo che abbraccia affamato i colori delle stagioni palermitane e trapanesi.

Quel legame con la Sicilia del “ciclo dei vinti” resta in sottofondo per tutta la lettura del libro, come una presenza spettrale e inquieta che ha il suo nodo più stretto nell’impossibilità per l’uomo di uscire dalle proprie umili origini, nonostante gli sforzi per giungere a uno stile di vita benestante.

Pare che la nobiltà non si compri.

Come Mastro-don Gesualdo, anche Vincenzo Florio (1799-1868) – allo stesso modo del padre Paolo e dello zio Ignazio – resterà per sempre uno “straniero”, un “bagnaroto”, un “facchino”.

Partiti nel 1799 da Bagnara Calabra, cittadina marittima addossata alle pendici dell’Aspromonte, alla volta di Palermo, gli ambiziosi Florio decidono di far crescere la loro piccola attività di commercio marittimo di spezie: in pochi anni, la loro aromateria diventa la più fornita della città e loro si affermano come i più potenti commercianti di cortice raffinato (usato successivamente per ottenere il chinino) e di zolfo, acquistando case e terreni dagli spiantati nobili palermitani e costituendo una loro compagnia di navigazione.

Casa Florio continuerà ad ampliarsi in modo esponenziale sotto la guida di Vincenzo. Le intuizioni e le conoscenze internazionali lo porteranno infatti a fondare, con Benjamin Ingham e Agostino Porry, la “Anglo-Sicilian Sulphur Company” per la produzione e la vendita dell’acido solforico, a dar vita a una cantina per la lavorazione di alta qualità delle uve di marsala (generalmente considerata una bevanda da poveri) e a farne un vino richiesto su scala internazionale, a introdurre un metodo rivoluzionario per la conservazione – e quindi per il commercio e il consumo – del tonno, rendendolo un prodotto in lattina e sott’olio, e a costituire, nel 1840, la prima Società dei battelli a vapore al mondo, le “Flotte Riunite Florio”, che garantiscono i collegamenti tra Palermo, Napoli, Marsiglia e gli altri porti siciliani.

È l’ascesa commerciale e sociale di questa famiglia, quella che la Auci ci racconta, una storia che ha fortemente cambiato e rinnovato la Palermo del XIX e del XX secolo, spesso rimasta spettatrice davanti all’espansione dirompente dei Florio. La classe nobiliare siciliana, detentrice di valori antichi e anacronistici ma con il portafoglio vuoto, assiste con disprezzo e invidia ai successi di questi uomini, giunti dalla terraferma con le mani sporche, gli abiti logori, sguardi lunghi verso l’orizzonte e visioni caparbie sul loro avvenire.

Spinti da un ardente desiderio di riscatto sociale che tarda ad arrivare, le loro vicissitudini si sono misurate con gli aspetti più intimi e privati delle loro relazioni affettive. Anche qui il rimando a Mastro-don Gesualdo è evidente: le figure femminili dal carattere intenso e tenace mettono spesso i protagonisti davanti alla contraddizione tra il desiderio di affermazione sociale e i propri sentimenti. Donne fedeli, coraggiose e lungimiranti popolano entrambi i romanzi, sebbene, a differenza di Gesualdo, Paolo e Vincenzo Florio trarranno sostegno e forza dalle loro mogli.

L’altro grande binario che procede in parallelo alla saga familiare dalla prima all’ultima pagina de I leoni di Sicilia è la storia.

L’autrice si ispira infatti alla vera storia della famiglia Florio, che ha il suo fondamento nell’isola per irradiarsi progressivamente in tutto il Mediterraneo e oltre. Il suo lavoro non è stato soltanto quello di elaborare e redigere un ottimo romanzo, ma anche di intraprendere una vera e propria ricerca storica. Ha svolto studi in archivio per interrogare i giornali dell’epoca, per conoscere i fatti di cronaca, per analizzare documenti e fotografie, ha ripercorso strade e visitato i luoghi che due secoli prima avevano ospitato la fervente attività dei Florio e le ville sontuose in cui avevano vissuto, cercando quelle stesse atmosfere che avevano avvolto le vicende da lei narrate. Anche grazie a queste indagini accurate e alla sua capacità di immergersi fisicamente e con l’immaginazione in quell’epoca, Stefania Auci ci restituisce una storia estremamente intensa dal punto di vista narrativo e ricca di spunti sul passato, capaci di offrirci conoscenze in più e riflessioni critiche.

I capitoli, suddivisi per scansioni temporali, sono introdotti da alcuni puntuali riferimenti storici che ci permettono di entrare con consapevolezza nel racconto e inquadrare il contesto in cui si svolgono i fatti.

Dagli occhi dei protagonisti leggiamo della lunga e violenta diatriba tra Napoli e Palermo per l’ottenimento dell’indipendenza di quest’ultima (diatriba che sfocia nelle proteste per la soppressione della Costituzione siciliana concessa nel 1812), delle sofferenze inferte dall’epidemia di colera che invade l’isola negli anni Trenta, del caos innescato dai moti popolari del 1837, poi dalla rivolta capitanata da Rosolino Pilo e Giuseppe La Masa contro l’oppressione borbonica e infine dagli stravolgimenti successivi alla spedizione dei Mille e all’annessione della Sicilia al Regno d’Italia. C’è, in questi anni di tumulti e lotte, tutta la difficoltà di decodificare gli obiettivi della collettività, di capire “da che parte stare”, di proteggersi dall’irruenza degli strenui sostenitori del popolo, di tutelare dalle massicce requisizioni governative un patrimonio ottenuto con il sudore e la fatica rubata alle ore di sonno.

La sensazione vivida, pulsante, che si ha dalla lettura del romanzo è quella di una storia che è davvero fatta dall’uomo e con l’uomo, sia nel suo scorrere sia nelle sue interpretazioni successive. E questo pezzo di storia dell’umanità è reso ancor più vivo ed efficace dalla profondità con cui la Auci entra nella mente dei personaggi: le frasi sono brevi, all’apparenza semplici, il linguaggio è scorrevole, con alcuni termini dialettali che lo rendono ancor più tridimensionale ed evocativo. In questo modo impressionistico, poche pennellate disegnano precisamente i pensieri dei protagonisti, rendendone la concretezza dei punti di vista e la complessità del quadro d’insieme.

In trepidante attesa di poter leggere il secondo volume della saga dei Florio, sorgono alla mente alcune parole di Marc Bloch: “I fatti umani sono, per essenza, fenomeni assai delicati, e molti di essi sfuggono al calcolo matematico. Per tradurli bene, e dunque per penetrarli a fondo (giacché si comprende mai perfettamente ciò che non si sa dire?) sono necessari una grande finezza di linguaggio [un giusto colore nell’espressione verbale]. Laddove è impossibile calcolare, occorre suggerire”.

I leoni di Sicilia ci suggerisce nuovi scorci e nuove insenature attraverso cui guardare la storia grazie alla sapiente cura della parola.