La terra promessa: Statua della Libertà ed Ellis Island (New York)

di Giulia Dodi

L’America è una statua che ti accoglie, e simboleggia, bianca e pura,
la libertà, e dall’alto, fiera, abbraccia tutta quanta la nazione.
(Canzone per Silvia – Francesco Guccini)

Inaugurata nel 1886 La Libertà che illumina il mondo, nota più semplicemente come Statua della Libertà, è oggi un dei simboli più conosciuti ad iconici degli Stati Uniti, che si staglia maestosa sulla baia di Manhattan, a New York, e con i suoi 93 metri d’altezza è una figura imponente e ben visibile anche a molti chilometri di distanza.

La statua fu un dono della Francia in segno di amicizia tra le due nazioni, oltre che simbolo della celebrazione per la Dichiarazione d’Indipendenza del secolo precedente, e raffigura una donna con una lunga toga che sorregge nella mano destra una fiaccola, mentre nell’altra tiene un libro che riporta la data del giorno dell’Indipendenza americana, il 4 luglio 1776. Ai suoi piedi si trovano delle catene spezzate, a simboleggiare la liberazione da un potere dispotico, e in testa porta una corona, le cui sette punte rappresentano i sette mari o i sette continenti, a seconda delle diverse testimonianze esistenti.

Per chi capita a New York una visita a Liberty Island è d’obbligo, arrivarci è piuttosto semplice e veloce, basta prendere il traghetto a Battery Park e, in pochi minuti, si sbarca ai piedi della statua, con la possibilità di percorrere a piedi la piccola isola e di godere sia della maestosità imponente della scultura sia della splendida vista sullo skyline di Manhattan. Serve, invece, un ulteriore biglietto per poter entrare all’interno del piedistallo della statua ed aver accesso al relativo museo, situato internamento al monumento, così come per accedere al punto più alto che sia visitabile, la corona, ma per farlo è necessario salire 354 gradini!  

Percorrere quest’isola e camminare ai piedi della statua della libertà ha un fascino particolare, si ha la sensazione di essere in un luogo davvero storico per quello che rappresenta per tutto il popolo americano questo simbolo, così evocativo per una nazione intera e così pregnante nella narrazione del proprio passato.

Quanta sia importante e rappresentativa questa statua per i cittadini statunitensi lo dimostra bene il fatto che nel 1884, quando la statua arrivò via nave sull’isola, non vi erano i soldi necessari per la costruzione del basamento e quindi fu aperta una raccolta fondi lanciata direttamente dal New York Times, che in pochi giorni riuscì a raccogliere il milione di dollari necessario, grazie alla straordinaria partecipazione della gente.

Lo stesso biglietto del traghetto permette anche di visitare Ellis Island, situata a pochi metri e naturale approdo di tanti migranti che nel secolo passato raggiungevano via nave e carichi di speranze le coste degli Stati Uniti. Sull’isola ha sede uno splendido museo dedicato proprio alla storia dell’immigrazione negli Stati Uniti, l’Ellis Island Immigration Museum (https://www.nps.gov/elis/index.htm ) in cui è possibile ripercorre cosa accadeva ai tanti che giungevano sull’isola.

Il museo si sviluppa su tre piani e, anche grazie all’aiuto di una audio guida, consente di compiere un vero e proprio viaggio nel tempo che porta il visitatore indietro fino a ritrovarsi a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando in quello stesso edificio uomini, donne e bambini dovevano transitare obbligatoriamente per mostrare i propri documenti ed essere controllati dai Medici del Servizio Immigrazione. Questi ultimi avevano il compito di contrassegnare quelli che presentavano alcuni problemi e dovevano essere sottoposti ad un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute, attraverso precisi simboli fatti con un gesso sulla schiena.

La visita inizia nella suggestiva Baggage room in cui sono esposti alcune delle valigie con cui gli immigrati di tutto il mondo raggiungevano Ellis Island, e mostrano bene le condizioni di estrema povertà e miseria che queste persone lasciavano nel loro paese d’origine, nella speranza di poter cambiare la propria vita.

La visita procede con l’ingresso nella Registry Room, in cui gli immigrati erano registrati, dovendo dichiarare nome, luogo di nascita, stato civile, luogo di destinazione, disponibilità di denaro, professione e precedenti penali, a patto di aver superato i controlli medici. Chi non risultava in perfetta salute era invece costretto a rimanere ad Ellis Island per il tempo necessario ad accertare la propria condizione o a guarire, mentre nei casi più gravi la legge americana prevedeva l’immediato rimpatrio.

Il percorso museale si snoda poi attraverso le altre sale che coprono i tre piani del museo, in cui è possibile vedere molti oggetti d’epoca, foto, vestiti, strumenti medici e carte giuridiche sono osservati con attenzione dai tanti visitatori che si aggirano curiosi per le sale.

Tra i tanti visitatori presenti vi è anche chi è particolarmente interessato a cercare tracce del proprio passato perché è a conoscenza di qualche parente lontano transitato ad Ellis Island, per questo è possibile accedere, a pagamento, al registro degli arrivi, in cui sono annotati i nomi di colore che approdarono sull’isola e furono regolarmente registrati per poi entrare negli Stati Uniti.

Sicuramente sono luoghi che si possono definire “pop” perché il Nation Park Service, che gestisce entrambi, ne ha fatto una narrazione semplice ma molto curata e capace di coinvolgere i fruitori di ogni età e provenienza, in cui ognuno può prendersi il tempo necessario per compiere le visite e soffermarsi sugli aspetti che più lo interessano. In particolare il Museo dell’immigrazione può essere considerato a tutti gli effetti un luogo di memoria, oggi completamente restauro ed adattato a museo, ma che conserva ancora molte testimonianze del passato, su tutte le scritte che chi era costretto in quarantena ha lasciato sui muri, rendendo ancora più unica ed emotivamente coinvolgente la visita su quest’isola.